“La fortuna aiuta gli audaci”. Finisce con il celebre proverbio latino l’ultimo studio che Julian Kettle, esperto di materie prime e senior vice president di Wood Mackenzie, ha fatto in materia di minerali e rischi legati al business delle estrazioni. Nell’analisi si sottolinea che gli Stati e le società minerarie non avrebbero ancora fatto investimenti sufficienti per raggiungere gli obiettivi di dercarbonizzazione previsti.

Per invertire la rotta, servono 1.700 miliardi di dollari entro i prossimi 15 anni. E l’Occidente è avvertito: rimanere fermo significherebbe lasciare alla Cina, che già procede a passo spedito per cavalcare la transizione energetica, il ruolo di leader mondiale nell’approvvigionamento di materie prime.

Ostacolo reticenza

Da dove cominciare? Litio, cobalto, rame, nickel e altri sono i metalli da corteggiare in questa fase. Gli ingredienti per le batterie di auto elettriche e per lo sviluppo delle fonti di energia rinnovabile hanno un ruolo evidentemente fondamentale in una società che vuole azzerare le emissioni, in cui l’aumento della temperatura sia limitato a un massimo di 2 gradi. Come concordato nell'ormai celebre COP 21 di Parigi.

Ma, spiega Kettle, cambiare fa quasi paura. Perché? Le ragioni sono principalmente due: la prima è che le imprese hanno fatto da poco altri tipi di investimenti e sono reticenti a rivedere le proprie scelte e rinnovare gli impianti. La seconda è che le aree dove scavare, come la Repubblica democratica del Congo, sono considerate zone ad alto rischio, soprattutto dal punto di vista dei consumatori.

Wood Mackenzie

Eppure, non mancherebbero i benefici di un cambio di prospettive, almeno per i veicoli a spina. Maximilian Fichtner, esperto di batterie, ha spiegato in una nota a Volkswagen che “dopo l’introduzione di materiali catodici sostenibili, come il litio-ferro-fosfato, i costi (di produzione degli accumulatori, ndr) possono scendere sotto il livello dei 100 dollari per kWh, ovvero il limite sotto cui un’auto elettrica diventa più conveniente di una tradizionale”.

Il litio-ferro-fosfato è infatti “un materiale economico, disponibile in modo sostenibile e non tossico”, su cui bisognerà investire anche per “rinunciare gradualmente al cobalto, sia per salvaguardare i diritti umani, sia per le riserve limitate”. Quelle di litio sono invece “molto maggiori”.

Superare i rischi

Alla fine della gara, vincerà comunque chi sarà stato più coraggioso. E, per ora, i fatti stanno premiando la Cina. Il Dragone sembra già molto avanti in un imminente “superciclo del rame”. In generale, si nota che i prezzi di tutte le materie prime, comprese ad esempio quelle agricole, stanno andando incontro a un aumento. Per quanto riguarda i minerali, quello del ferro ha messo a segno progressi anche del 10% in un giorno. Acciaio e stagno hanno raggiunto i livelli massimi e lo stesso rame ha registrato un +30% da inizio anno.

Perché? La ripresa economica post-Covid potrebbe essere più veloce del previsto e le imprese si sono trovate con poche scorte a disposizione. Questo ha portato a una crescita della domanda e una carenza dell’offerta, il tutto accompagnata naturalmente da un surriscaldamento delle quotazioni. Lo spettro dell’inflazione è tornato così ad aleggiare in tutto il mondo. Ora, Goldman Sachs è sicura: questa combinazione di fattori porterà a un “superciclo” delle materie prime, in cui i prezzi resteranno molto alti.

In questa nuova corsa all’oro, l’Europa sta già pianificando l’indipendenza dalle importazioni e sogna un sorpasso ai danni dell’Asia nella produzione di batterie. Anche Biden procede sulla stessa strada. Ma occorrerà fare di più. Solo allora ci saranno minerali a sufficienza per la transizione energetica. “Non fare nulla – avverte lo studio di Wood Mackenzie – non è un’opzione per l’Occidente”.