Quando si parla di durata di una batteria si intende solitamente il periodo, corrispondente ad una certa percorrenza e/o ad un certo numero di cicli di carica, trascorso il quale la sua efficienza scende al di sotto dell’80% rendendo necessario sostituirla. Superato questo limite infatti le sue prestazioni non sono più considerate sufficienti per le necessità dei veicoli elettrici ma ciò non significa affatto che sia già da buttare. Al contrario, una batteria all’80% dell’efficienza, che ha mediamente dai 5 agli 8 anni di servizio alle spalle, può ancora dare molto se impiegata in un’attività meno stressante di quella richiesta da un veicolo e rendersi utile anche per altri dieci anni o più. Ecco come:
1 - Accumulatori industriali
Il primo utilizzo a cui si possono destinare le batterie usate è quello di accumulatori ad uso industriale. In parole povere, si utilizzano per immagazzinare l’energia prodotta da impianti privati (fotovoltaici o eolici ma anche basati su generatori a gas naturale ecc…) di cui molte aziende e fabbriche si stanno dotando, oppure assorbita dalle rete in momenti di basso consumo, per poter essere utilizzata nei momenti in cui la richiesta energetica è maggiore. In questo modo, i cicli di carica e cessione dell’energia sono più lunghi, regolari e costanti rispetto a quelli che si hanno sulle auto in movimento dove il continuo e irregolare alternarsi di flussi in entrate e uscita causa è ila prima causa del logorio e dunque del decadimento delle prestazioni.
2 - Gruppi di continuità
Un concetto simile al precedente, ma che investe settori di pubblica utilità, è quello che vede l’utilizzo delle batterie come riserva di energia d’emergenza, ad esempio per ospedali e impianti sportivi che dovessero rimanere coinvolti in black out. Non sostituirebbero i generatori ausiliari ma potrebbero supportare il sistema quel tanto che basta per riparare eventuali guasti e comunque ritardare l’entrata in funzione di generatori stessi, più inquinanti visto che solitamente bruciano carburanti liquidi o gas,
3 - Altre batterie
Se lo smaltimento delle batterie è ancora difficile e ancora costoso (ma con tecnologie e industrie in via di sviluppo), ripristinarle non è impossibile e può essere una buona soluzione per allungar loro la vita ritardando il momento della dismissione definitiva. Esattamente come si fa per organi meccanici quali i motori, anche le batterie possono infatti essere ricondizionate e rimesse a disposizione dell’autotrazione elettrica. Il primo centro al mondo specializzato in questo tipo di processi è stato inaugurato lo scorso marzo a Nomie, in Giappone: si chiama 4R Energy Corporation ed è una joint-venture tra Nissan e Sumitomo Corporation che si occupa anche della realizzazione di sistemi di stoccaggio sempre partendo da batterie di recupero.
Da problema a risorsa
Come è facilmente intuibile, il riciclaggio non è soltanto una moda ma una vera e propria necessità: secondo le stime dell’UNRAE, soltanto in Italia nel 2020 il numero di vetture elettriche immatricolate potrebbe raggiungere le 11.000 unità, ossia oltre cinque volte quelle registrate nel 2017 mentre in Germania nello stesso anno si calcola di arrivare ad averne addirittura un milione. Guardando ancora oltre, secondo una proiezione degli analisti della Bloomberg entro il 2040 il numero di veicoli elettrici circolanti nel mondo avrà superato i 550 milioni. Il che, allo stato attuale, e a meno che la tecnologia non riesca a moltiplicare in modo esponenziale vita utile e prestazioni delle batterie, si traduce in enormi problemi di smaltimento, oltre che nel rischio di andare ad esaurire rapidamente alcune delle materie prime dalla disponibilità già limitata. In quest’ottica, gli esempi di recupero, riutilizzo e rigenerazione delle batterie offrirebbero una parziale soluzione a questo e ad altri inconvenienti, tra cui l’aumento del fabbisogno energetico necessario che pure alcune analisi recenti hanno già ridimensionato. In particolare, uno studio condotto da Volkswagen con vari enti per l’energia tedeschi ha stimato che un milione di veicoli circolanti in uno stato come la Germania genererebbe un aumento del consumo inferiore all’1%, a ben guardare assai meno drammatico di quello causato dall’industrializzazione o dal sovrappopolamento di alcune aree del pianeta. Tuttavia rimane almeno a livello teorico il problema dei picchi di assorbimento, a cui si potrebbe appunto rimediare utilizzando le batterie usate per accumulare energia “di scorta” nei momenti di minore intensità ed avere a disposizione riserve distribuite per quelli più critici. Un po’ il principio alla base della tecnologia V2B (di cui ci siamo occupati in un recente articolo) che prevede però lo sfruttamento delle stesse automobili in carica come riserve d’emergenza, una soluzione però non priva di controindicazioni pratiche.