Presentato quasi un anno fa dalla Commissione Ue come tassello fondamentale del Green Deal europeo, il pacchetto di riforme climatiche Fit for 55 si appresta ora a uno svincolo chiave. L’11 maggio, la commissione Ambiente all’Europarlamento voterà infatti per modificare il testo dell’esecutivo Ue e proporre le prossime regole sulle emissioni di CO2 di auto e furgoni.

Il risultato di questo passaggio sbarcherà in plenaria per un’altra votazione durante la settimana del 6 giugno, per arrivare al Consiglio Ambiente del 28 giugno: due momenti, questi, che indicheranno le posizioni rispettivamente del Parlamento Ue e del Consiglio dell’Unione europea, gli organi competenti a decidere sulle proposte della Commissione Ue.

L’iter legislativo, però, non finirà qui, perché dopo partirà il cosiddetto trilogo, una serie di dialoghi informali tra queste tre Istituzioni che hanno l’obiettivo di portare a accordo sulle norme finali. Il procedimento andrà avanti con una "seconda lettura", in cui Parlamento e Consiglio Ue valuteranno le reciproche posizioni e approveranno o respingeranno la proposta. Ma cosa c'è effettivamente in ballo? Andiamo con ordine.

Chi dice “sì” e chi “no”

Sono due gli schieramenti che stanno dividendo Strasburgo: se da un lato ci sono gli eurodeputati che vorrebbero stabilire obiettivi ancora più ambiziosi, dall’altro si pensa invece che i target vadano rivisti al ribasso. Il fronte ambientalista propone una roadmap sulla riduzione della CO2 con delle tappe intermedie al 2025 (-25% per le auto e -20% per i furgoni), 2027 (-45% per le auto e -40% per i furgoni) e 2030 (-75% per le auto e -70% per i furgoni).

Traffico a Milano

C’è persino chi vorrebbe anticipare l'addio alle auto con motore termico a fine decennio. In entrambi i casi, le regole sarebbero ben più severe di quelle previste dalla proposta della Commissione Ue, che non solo non ha ritoccato l’attuale obiettivo di ridurre del 15% la CO2 al 2025, ma nulla ha deciso sul 2027. Per il 2030, l’esecutivo europeo chiede invece alle Case di tagliare le loro emissioni del 55%. Si arriverebbe così allo stop ai motori a combustione nel 2035.

Passando al secondo "schieramento", sono in molti a chiedere di rallentare sulla strada dell'elettrificazione. Come? Puntando a standard meno severi, dando la possibilità per i costruttori di acquistare crediti verdi e cercando di garantire una quota di mercato ai biocarburanti e ai carburanti sintetici. Qualcuno vorrebbe anche cancellare in toto la messa al bando delle vetture endotermiche, lasciando agire liberamente il mercato. Cosa succederebbe se passasse questa linea? La ong ambientalista Transport & Environment (T&E) ha tracciato un possibile scenario.

Vietato fermarsi

L’organizzazione parte da qualche dato: la mobilità è responsabile del 15% delle emissioni nel Vecchio Continente. Già nel 2021, però, il 18% delle immatricolazioni riguardavano veicoli elettrici, che sono “il principale strumento per decarbonizzare le auto in Europa”. Arrivati a questo punto, non si può quindi tornare indietro.

Anche perché, secondo T&E, spingere per incrementare la produzione di vetture a zero emissioni attraverso target più severi renderebbe più accessibile grazie alle economie di scala la mobilità a batteria, permettendo di raggiungere l’agognata parità di prezzo con benzina e diesel nel 2026. E questo nonostante il rincaro delle materie prime.

Volvo XC40 Recharge T5 Plug-in Hybrid

Fare uno sforzo in più significherebbe anche, stando ancora a T&E, risparmiare mezzo miliardo di barili di petrolio fino al 2030. Per tirare le somme, l’organizzazione ritiene che le proposte della Commissione europea siano buone per quanto riguarda le ambizioni a lungo termine, ma ancora deboli per la riduzione della CO2 a fine decennio. 

“Con la revisione degli standard Ue sulle emissioni di auto e furgoni, i responsabili politici hanno il potere di decidere quando e quanto velocemente avverrà il passaggio verso un trasporto su strada senza emissioni in Europa”, dichiara T&E. “Insieme a un minor numero di viaggi in auto privata e a un sistema di mobilità più efficiente e condiviso, l’elettrificazione è una delle soluzioni chiave per raggiungere il trasporto su strada a zero emissioni”.

Cosa dice l'Italia

Sull’argomento ha fatto discutere la posizione del Governo italiano, che fin da subito ha mandato messaggi con più di qualche perplessità sulla proposta della Commissione Ue. Uno su tutti è stata la mancata adesione al patto sull’auto elettrica firmato da molti Stati alla Cop26.

L’esecutivo è poi uscito ufficialmente allo scoperto per bocca del ministro Giancarlo Giorgetti, durante un’interrogazione parlamentare alla Camera: “È necessario proporre alla Commissione Ue una revisione del pacchetto”, erano state le sue parole. Nei mesi successivi, il titolare del Mise ha perciò ribadito più volte che “il futuro dell'automotive in Europa non può essere solo l'elettrico”.

Giancarlo Giorgetti
Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo economico

La sua visione coincide con quella del ministro Roberto Cingolani, a capo del dicastero della Transizione ecologica. Commentando la decisione del Cite di allineare l'Italia al resto del continente, con un phase-out al 2035, il responsabile del Mite aveva spiegato che il Governo ha voluto dare solo una data indicativa all'Unione europea.

In poche parole, fatto salvo il ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili guidato da Enrico Giovannini, decisamente favorevole alla transizione elettrica, gli altri due dicasteri chiave si sono ampiamente espressi a favore della “neutralità tecnologica”. Un principio che, secondo l'esecutivo italiano, darebbe spazio anche ai carburanti alternativi. Proprio per questo motivo è stato già annunciato un piano per i biocarburanti.

Sempre di un italiano, ma in questo caso dell'eurodeputato Massimiliano Salini (Partito popolare europeo, eletto con Forza Italia), è stata l'iniziativa in seno alla commissione Trasporti al Parlamento Ue per esprimere un parere che chiede la revisione di Fit for 55: non più un taglio del 100% delle emissioni su strada nel 2035, ma solo del 90%. È stato il primo “no” ufficiale in Europa, seppur non vincolante. Sarà anche l'ultimo?

L'analisi di Transport & Environment