Così come Roma non fu costruita in un giorno, gli investimenti nell’auto elettrica non si programmano dalla sera alla mattina. Eppure, in qualche caso, si verificano delle circostanze che possono accelerarli in maniera clamorosa. Il riferimento è ai tanti progetti che stanno nascendo negli Stati Uniti dopo l’approvazione dell’Inflation Reduction Act (IRA), che vincola gli incentivi auto a una serie di condizioni che hanno come filo conduttore il Made in Usa.

Bloomberg ne ha calcolato il valore economico. Bene, a soli tre mesi di distanza dall’entrata in vigore della misura voluta da Biden, sono già pari a circa 13 miliardi di dollari le nuove risorse destinate all’industria dell’auto green, tra veicoli e batterie.

Caccia ai bonus

Volkswagen e Mercedes si sono affrettate a chiudere un accordo per la fornitura di litio con il Canada; Honda e Toyota hanno stanziato complessivamente 7 miliardi di dollari in impianti di accumulatori; una società mineraria australiana ha resuscitato le estrazioni di cobalto dopo quasi 3 decenni di stop e BMW ha liberato 1,7 miliardi per espandere il suo stabilimento nella Carolina del Sud.

La fabbrica BMW di Spartanburg, South Carolina

La fabbrica BMW di Spartanburg, South Carolina

Tutti, in un modo o nell’altro, vogliono una fetta della torta sfornata dal presidente Biden, che ha messo sul piatto non solo 7.500 dollari di sconto per chi vuole passare all’elettrico, purché la vettura acquistata rispetti una serie di requisiti di “americanità”, ma anche una serie di incentivi alla produzione negli States.

Il petrolio del XXI secolo

Il bonus consiste in un credito di imposta di 35 dollari a kWh per ogni cella realizzata e di 10 dollari a kWh per ogni pacco batterie. Stando alla società di consulenza UBS, gli incentivi arrivano a ridurre i costi degli accumulatori del 25-30% su un totale (approssimato per eccesso) nell’ordine dei 140 $/kWh.

“La produzione negli Stati Uniti potrebbe essere più remunerativa che in qualsiasi altro Paese”, scrivono gli analisti. “L’attuale amministrazione considera ovviamente le batterie EV come il petrolio del XXI secolo ed è disposta a sostenere il costo necessario per raggiungere l’indipendenza energetica”.

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Circolo virtuoso

Il “prezzo” da pagare lo conosciamo: è rischiare una rottura con i partner commerciali che, a varie latitudini, denunciano la discriminazione con le loro industrie, da Occidente a Oriente, da Europa a Giappone, passando per Cina e Corea del Sud. Ma gli uomini di Biden sono già all’opera per ricucire i rapporti, provando a tessere una fitta trama di accordi.

Con l’Ue si lavora insieme, all’interno di una task force, per concedere delle deroghe ai costruttori europei; Seul potrebbe essere accontentata da un compromesso e Tokyo si gioca la carta della flessibilità. Rimane alla finestra Pechino, bersaglio evidente delle nuove politiche a stelle e strisce.

Intanto, anche il Congresso si dà da fare per accontentare gli alleati, a maggior ragione adesso che i repubblicani possono sfruttare i risultati delle elezioni di midterm per dire la loro. Ma difficilmente cancelleranno l’IRA. I 13 miliardi di dollari, sommati agli investimenti che arriveranno in futuro, sono un’iniezione di risorse molto importante per l’industria americana. Piuttosto, verosimilmente, si continuerà a proporre qualche ritocchino. E da questo lato dell’Atlantico, vediamo cosa deciderà di fare l’Europa per non rischiare di farsi soffiare investimenti che di certo farebbero un gran comodo anche qui.