Quando si parla di auto elettriche si parla spesso anche di terre rare. C’è però un po’ di confusione al riguardo. Molti, infatti, pensano che con terre rare si indichino tutti quegli elementi di difficile reperimento che servono per realizzare le batterie. Non è così. Il cobalto, come il litio o il manganese, non sono terre rare.
Con il termine terre rare si intende altro. Secondo la definizione dell’Unione Internazionale di Chimica Pura e Applicata (IUPAC), si fa riferimento a 17 elementi chimici ben precisi: lo scandio, l’ittrio e i 15 elementi identificati dal nome lantanoidi.
Un po’ di storia
Una “terra rara”, in verità, non è neanche necessariamente presente sul nostro pianeta in scarsa quantità (questo, anzi, vale solo per il promezio). La definizione fu data a fine ‘700 e deriva dai minerali dai quali gli elementi in questione furono isolati per la prima volta: ossidi non comuni estratti in una miniera in Svezia.

Il giacimento di terre rare più grande in Europa
Si scoprì che, a differenza di ferro, oro o argento, si trovano nei minerali in concentrazioni molto basse. Per dare un termine di paragone, la loro disponibilità sulla Terra è tre volte quella del rame e 2 volte quella dello zinco. Però, proprio per la bassa concentrazione, sono più difficili da estrarre e raffinare.
Per completezza dell’informazione, le terre rare si dividono in 3 gruppi: rare, medie e pesanti, in base al numero atomico, che va dal 57 del lantanio al 71 del lutezio. Ma torniamo alla questione legata all’auto elettrica.
Terre rare e motori elettrici
Le terre rare, come detto, non si trovano all’interno delle batterie, bensì dei motori elettrici. Sono utilizzate, precisamente, per realizzare i magneti che permettono ai motori di funzionare. I magneti sfruttano elementi come il neodimio, il samario, il terbio o il disprosio. I magneti più comuni sono fatti di neodimio, ferro e boro (NdFeB) o di samario e cobalto (SmCo), ma sempre più composizioni chimiche si stanno affacciando sul mercato.

Magneti di un motore elettrico
I magneti non utilizzano necessariamente le terre rare, ma quelli che lo fanno, in certi casi le terre rare arrivano fino al 30% della composizione totale del magnete stesso, sono i più potenti in circolazione. Ed è per questo che sono usati per le auto elettriche, perché garantiscono prestazioni maggiori. Possono arrivare a produrre campi magnetici anche superiori a 1,6 Tesla, mentre i magneti in ferrite o anico si aggirano su valori compresi tra 0,5 e 1 Tesla.
A livello di prestazioni pure, i migliori magneti in circolazione sono ancora quelli NdFeB, che però lavorano correttamente a temperature che non possono superare i 180 gradi. I magneti SmCo, invece, hanno rendimenti migliori anche a temperature più alte.
Negli ultimi tempi si è provato ad aggiungere altre terre rare ai magneti, per trovare prestazioni ancor più elevate e rendimenti omogenei in intervalli di temperatura più ampi. Per questo, sono stati fatti magneti con aggiunta di terbio o disprosio, che però sono molto costosi. Toyota, dal canto proprio, ha preferito aggiungere lantanio e cerio, due elementi relativamente più a basso costo e più facili da reperire.

La Toyota Prius monta motori elettrici con magneti di nuova generazione
Oltre le terre rare
Per ridurre i costi dei magneti, per abbassare l’impatto ambientale legato alla loro produzione e trovare il modo di aumentare i volumi per rispondere alla crescente domanda del mercato (legata alla crescita delle vendite di auto elettriche), la sfida che le aziende si trovano oggi ad affrontare riguarda l’eliminazione delle terre rare dai motori elettrici del futuro.
Ci stanno provando in tanti, Tesla inclusa, forti di progressi tecnologici che consentono di avere prestazioni simili con formule diverse. All’Università di Cambridge, per esempio, si sta mettendo a punto un processo industriale per la produzione di tetrataenite, una lega di ferro e nichel con proprietà magnetiche che si avvicinano a quelle dei magneti con terre rare.
I ricercatori del Critical Materials Institute, dipartimento del Dipartimento per l’Energia degli Stati Uniti, stanno invece lavorando su magneti con manganese e bismuto (MnBi) dalla struttura particolare in grado di alzare le prestazioni all’aumentare della temperatura.