“A difesa della casa e delle auto degli italiani”. Alzi la mano chi, girando fra le strade nelle ultime settimane, non si sia imbattuto in qualche cartellone pubblicitario tappezzato con slogan elettorali dove, fra gli altri, campeggia il nuovo mantra della Lega di Matteo Salvini.
È solo l’esempio più lampante di un’auto elettrica protagonista come non mai delle politiche nel Vecchio Continente, alle urne dal 6 al 9 giugno prossimi (solo 8 e 9 giugno in Italia) per eleggere il nuovo Europarlamento, chiamato poi a nominare la prossima Commissione dell’Ue.
Istituzioni che, piaccia o non piaccia, raccoglieranno l’eredità dei padri del Green Deal, il piano di Bruxelles per azzerare le emissioni in Europa nel 2050, comprensivo dello stop alla vendita di vetture a benzina e diesel dal 2035. E qui entrano in gioco le elezioni europee del 2024. Perché, seppur già approvato definitivamente, il dossier auto potrebbe clamorosamente tornare in discussione.
Recap
Per capire bene il caso, dobbiamo però riavvolgere il nastro di quasi tre anni, quando la Commissione dell’Ue propone di mettere al bando i motori termici dalla metà del prossimo decennio. Se approvato, di fatto, il regolamento darebbe spazio nelle concessionarie alle sole auto elettriche.
Durante l’iter normativo, Parlamento e Consiglio dell’Unione europea accendono il semaforo verde apportando solo qualche modifica, dopodiché si confrontano nel cosiddetto Trilogo per scrivere la versione definitiva del testo. Ma il meccanismo si inceppa, perché solo gli eurodeputati mettono l’accordo nero su bianco, mentre gli Stati membri si rifiutano.
È la Germania, insieme all’Italia del Governo di destra Meloni e a una schiera di altri Paesi, ad alzare la paletta e chiedere che il phase-out non sia totale. Berlino dirà “sì” solo se le vetture a combustione potranno essere immatricolate anche dal 2035, purché alimentate da carburanti carbon neutral, come promettono di essere gli e-fuel.
Campioni di e-fuel
Alla fine, Bruxelles e Germania trovano il compromesso: via libera dei tedeschi al regolamento, dietro però alla promessa che la nuova Commissione rivaluti la benzina sintetica nel 2026, quando i futuri progressi tecnologici potrebbero renderla un vero carburante a zero emissioni.
Le auto termiche resterebbero in commercio montando sistemi (da sviluppare) che ne impediscano l’accensione se rifornite con alimentazioni diverse dagli e-fuel. Nessuna prospettiva (almeno finora) per i biocarburanti, tanto apprezzati dall’Italia.
Europa divisa in due
La partita della tarda primavera e dei cinque anni a seguire si gioca tutta qua. In un momento storico complicato per l’auto elettrica, con vendite in calo e Case che riducono gli investimenti e fanno qualche passo indietro, la politica del Vecchio Continente si spacca sulla transizione del settore e porta gli scettici dell’elettrificazione a cavalcare la prospettiva che le Istituzione dell’Ue diano l’ok alle alternative al full electric.
La leva propagandistica sta nella denunciata imposizione dell’Europa all’uso di una tecnologia che non ha ancora conquistato i cuori degli automobilisti, causa prezzi di listino elevati, autonomia ridotta, diffusione delle colonnine a macchia di leopardo e dipendenza dalla Cina, anche se l’industria si era già orientata verso il “tutto elettrico”.
Dentro l’auto elettrica cinese MG4
Spauracchio Cina: nuovi dazi in arrivo?
L’altro capitolo e spauracchio è proprio la possibile invasione dei veicoli elettrici cinesi, finita sotto la lente della stessa Bruxelles che ha avviato un’indagine anti-dumping sugli incentivi elargiti da Pechino all’industria locale; inchiesta che potrebbe concludersi con l’applicazione di dazi doganali addizionali (e punitivi) per compensare la tassazione squilibrata nell’import-export fra Europa e Cina: 25% in più dei costi per entrare in Oriente e solo 10% aggiuntivo per il viaggio nella direzione opposta.
Saranno proprio gli 007 dell’Esecutivo europeo a consigliare eventuali interventi alle Istituzioni, che decideranno bilanciando gli interessi delle varie anime nel continente: da una parte c’è ancora la Germania, in buoni rapporti col Dragone e spaventata da potenziali ripercussioni; dall’altra potrebbero esserci umori ben diversi.
Fra meno di un mese si getteranno quindi le basi sul domani dell’auto europea. Che, forse per la prima volta, si candida a essere l’ago della bilancia.