Elon Musk è un personaggio che si ama o si odia. E anche se sembra prevalere la prima fazione, non si può negare che in molti appartengano anche al secondo schieramento. Il ceo di Tesla si è fatto diversi nemici nel corso degli anni e, nelle ultime ore, ha fatto arrabbiare i gruppi commerciali e dei diritti negli Stati Uniti.
Tutta colpa dell’apertura di uno showroom a Urumqi, nella regione cinese dello Xinjiang, tristemente conosciuta per essere il luogo in cui, secondo quanto riferito dalle Nazioni Unite, la comunità musulmana degli uiguri subisce abusi dal Dragone, a cominciare dai lavori forzati.
“Tesla chiuda lo showroom”
Dal canto suo, la Cina ha respinto le accuse già in passato, sostenendo che i campi di detenzione siano in realtà zone di formazione professionale. Ma le smentite non sono ovviamente bastate per salvare Elon Musk dalle critiche.
Così il Cair (Council of American-Islamic Relations), la più grande organizzazione in difesa dei diritti dei musulmani negli Stati Uniti, ha chiesto alla Casa di chiudere immediatamente lo showroom.
“Nessuna società americana dovrebbe fare affari in una regione che è il punto focale di una campagna di genocidio contro una minoranza religiosa ed etnica”, ha affermato Ibrahim Hooper, direttore nazionale delle comunicazioni del Cair. “Elon Musk e Tesla devono chiudere questo nuovo showroom e cessare ciò che equivale a un sostegno economico al genocidio”.
“Aiuti a coprire il genocidio”
Prese di posizione simili sono arrivate anche dall’Alliance for American Manufacturing e dal senatore repubblicano statunitense Marco Rubio, che ha twittato: “Subito dopo che il presidente Biden ha firmato la legge per la prevenzione del lavoro forzato degli uiguri, Tesla ha aperto un negozio a Xinjiang. Le multinazionali stanno aiutando il Partito Comunista Cinese a coprire il genocidio e il lavoro forzato nella regione”. La Casa non ha ancora commentato.