Quando si parla di auto elettriche, anche i più tenaci detrattori non possono negare una cosa: le emissioni allo scarico semplicemente non ci sono.
Ma quanto conta questo per la qualità dell’aria (e della vita) nelle nostre città? Per rispondere a questa domanda l’Istituto per l’Inquinamento Atmosferico del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR-IIA) ha messo a punto uno studio ad hoc insieme a Motus-E, l’associazione per lo sviluppo della mobilità elettrica in Italia. Vediamo cosa è emerso.
Come funziona lo studio
Innanzitutto una premessa sulla metodologia dello studio, che trovate in allegato in forma integrale in coda all’articolo. L’analisi si basa sugli scenari di penetrazione della mobilità elettrica elaborati da Motus-E sulla base degli obiettivi che l’Italia si è data con il Piano nazionale energia e clima trasmesso lo scorso anno a Bruxelles. Un impegno che prevede al 2030 la presenza sulle strade italiane di 4 milioni di auto full electric e 2 milioni di ibride plug-in.
Il CNR, dal canto suo, ha applicato a questi scenari modelli di flussi di traffico e regimi metereologici - concentrandosi sulle città di Roma, Milano, Torino, Bologna, Palermo - per valutare le variazioni delle concentrazioni di inquinanti in funzione dell’elettrificazione del parco veicolare. Come? Utilizzando un modello analitico avanzato per la stima della dispersione atmosferica degli inquinanti. Sotto la lente, in particolare, particolato e ossidi di azoto.

I risultati
Dai risultati ottenuti, secondo i promotori dello studio "è evidente che, all’interno di uno scenario più ampio di ricambio del parco veicolare privato, la penetrazione di una percentuale di veicoli elettrici possa giocare un ruolo fondamentale nella riduzione degli inquinanti locali, in particolare di NO2".
Nello specifico, per lo scenario al 2025 si è considerata una quota di full electric sul totale del circolante pari al 4% e al 2030 del 20%. Per i veicoli commerciali, invece, la percentuale considerata è stata rispettivamente del 5% e del 15%.
Considerando lo scenario al 2025, l’analisi rileva nel dettaglio una riduzione delle concentrazioni di NO2 - in termini percentuali e relative al comparto mobilità - da un minimo del 47% (a Bologna) a un massimo del 62% (Roma), mentre per la prospettiva al 2030 si assisterebbe a una riduzione che va dal 75% di Palermo all’89% di Roma.
Un impatto più contenuto, ma comunque rilevante, si osserverebbe anche per il PM10: al 2025 la percentuale di riduzione oscilla dal 28% di Bologna al 38% di Palermo, mentre al 2030 non si avrebbero abbattimenti significativi come per gli NO2, oscillando tra il 34% e il 46%.
L’impatto sulla salute
Il report considera anche i riflessi economici associati al numero di morti evitate negli scenari ipotizzati, con una riduzione dei costi sociali - espressi dal Value of Statistical Life (VSL) - tra 140 milioni e 2 miliardi nello scenario al 2025 e tra 222 mln e 3 mld al 2030.
CNR-IIA e Motus-E, infine, ricordano che secondo gli ultimi dati dell’OMS l’inquinamento atmosferico costituisce la principale fonte di rischio ambientale per la salute della popolazione mondiale, in particolare nelle aree urbane che costituiscono le zone maggiormente più popolate.
L’Agenzia Europea dell’ambiente, inoltre, ha rilevato che nel 2018 il particolato fine (PM2,5) avrebbe causato circa 417.000 decessi prematuri tra i cittadini dell’Unione Europea, mentre gli NO2 ne avrebbero provocati circa 55.000. Un altro studio, commissionato dall’European Public Health Alliance, riporta Roma, Milano e Torino in assoluto tra le prime 25 città europee per costi sociali associati all’inquinamento.