Anche i rifiuti possono contribuire alla transizione. Soprattutto se nascondono un tesoro di terre rare, ingredienti immancabili nella ricetta dei magneti permanenti, fondamentali a loro volta per dare vita ad auto elettriche e turbine eoliche.

Ed è proprio all’insegna dell’economia circolare che Svezia, Australia e Sudafrica stanno lanciando una serie progetti per recuperare terre rare dai depositi minerari. Sono sei e, secondo Reuters e Adams Intelligence, ridurranno la dipendenza da Cina e future estrazioni.

“L’opportunità c’è”

In base a una stima della Rmit University, sono circa 16,2 i milioni di tonnellate di terre rare non sfruttati in 325 depositi in tutto il mondo. Complessivamente, i sei progetti porterebbero a oltre 10.000 tonnellate di ossido di neodimio e praseodimio (NdPr) entro il 2027, ovvero l’8% della domanda mondiale di questi due minerali, con la possibilità di ridurre del 50% il deficit di offerta.

“Nel breve e medio termine – commenta Ryan Castilloux, amministratore delegato di Adamas Intelligence –, la crescita della domanda sarà superiore a quella della produzione, quindi c’è un’opportunità per queste fonti di approvvigionamento facilmente accessibili”.

Foto - Il giacimento di terre rare più grande in Europa

Il giacimento di terre rare più grande in Europa

Questione di tempi

Ma qual è il vero vantaggio del recupero, oltre alla riduzione delle estrazioni? Semplice: accorcia i tempi delle forniture. Autorizzare e avviare i lavori in una nuova miniera può richiedere fino a 15 anni; bastano invece 4 anni per isolare le terre rare dai depositi.

Lo sa bene Lkab, azienda svedese che gestirà il più grande giacimento di terre rare in Europa: si trova in Svezia e potrebbe riportare alla luce un milione di tonnellate di minerali. La società, però, punta forte sul riciclo, grazie a due siti da sfruttare.

Oltre a quello scandinavo, gli altri progetti degni di nota sono quello sudafricano di Rainbow Rare Earths e, soprattutto, dell’australiana Iluka, che potrebbe trattare un milione di tonnellate, accumulato dagli anni ’90 a Eneabba.

Si parte nel 2025, con un investimento da 1-1,2 miliardi di dollari locali (613-736 milioni di euro). Una cifra importante, ma che potrebbe ridursi grazie allo sviluppo di tecnologie per la separazione degli elementi, come la cosiddetta cromatografia ionica.