Davanti a tutti c’è sempre la Cina, precursora di auto elettriche, batterie e riciclo delle materie prime. Europa e Stati Uniti accelerano invece per recuperare terreno. Ma chi si sta muovendo meglio fra Vecchio e Nuovo Continente? Gli analisti di Reuters non hanno dubbi: gli USA.

Forti dell’Inflation Reduction Act (Ira) – la legge che premia il “made in America” con incentivi ad acquisto e produzione di auto elettriche –, gli Stati Uniti si portano avanti anche sulla seconda vita dei minerali per la transizione. Come? Attraverso una regoletta ad hoc.

Cittadinanza USA

Nella legge a stelle e strisce c’è infatti una clausola che regala lo status di “made in USA” alle materie prime riciclate su suolo americano, anche se estratte in altri continenti. Un piccolo trucco che spinge Costruttori e altre aziende a investire negli Stati Uniti.

A dichiararlo sono gli esperti del settore intervistati dall’agenzia di stampa britannica, che parlano di un vero e proprio boom di capitali destinati a impianti per la seconda vita dei minerali. Un business che, secondo le stime sul mercato globale, crescerà dai quasi 10 miliardi di euro del 2022 ai 16 miliardi del 2028.

Assemblaggio del pacco batteria presso l'unità di produzione di batterie Volkswagen a Chattanooga, Tennessee

Un pacco batterie Volkswagen realizzato a Chattanooga, nel Tennessee

Le batterie pronte al riciclo dovrebbero passare invece dagli 11,3 GWh del 2022 ai 138 GWh nel 2030 (quantità sufficiente ad alimentare 1,5 milioni di auto elettriche) e rappresentare il 40% degli accumulatori nel 2040. Nel frattempo, anche l’Europa prova a ritagliarsi una fetta della torta. Ma la marcia è più lenta.

I ritardi dell’Ue

Con l’Ira già in vigore e che fa bene il suo lavoro, le norme europee fanno i conti con l’iter normativo fra Europarlamento e Consiglio dell’Ue. Il Critical raw materials act (Crma) è infatti ancora solo una proposta, mentre le nuove regole su batterie e riciclo hanno superato il doppio esame di Strasburgo e Bruxelles, ma aspettano di diventare operative.

Intanto, la Cina prende di mira l’iniziativa di Washington, accusandola di “bullismo unilaterale” ed etichettando la legge statunitense come “anti-globalizzazione”. Pechino promette quindi di rispondere con standard più severi e un maggior sostegno alla ricerca. La corsa si infiamma, però l’Unione europea arranca.