Shell ha proposto al governo britannico l’installazione di 50.000 colonnine di ricarica per le strade del Regno Unito. L’intenzione della big oil olandese è quella di riuscire a renderle tutte funzionanti nel giro di quattro anni e, se così fosse, le permetterebbe di diventare la proprietaria di un terzo degli stalli pubblici presenti sul suolo britannico.

La mossa ben si sposa sia con la volontà di Shell di reinventarsi come società erogatrice di servizi legati alla eMobility, sia con la politica del governo britannico che vieterà la vendita di auto a benzina e a diesel entro il 2030 e di promuovere con diverse iniziative la diffusione di veicoli a basso impatto ambientale.

Una carenza da colmare

Gli automobilisti inglesi, in effetti, si stanno convertendo alle auto a batteria, ma lamentano la mancanza di colonnine di ricarica sia in città sia in contesti extraurbani. A tal proposito, la Competition and Markets Authority britannica ha dichiarato in un report pubblicato a luglio che la costruzione dei punti di ricarica per veicoli elettrici in Regno Unito è stata fino ad oggi “lenta e disordinata”.

Di fronte a tale situazione, diversi giganti del petrolio stanno organizzando una riconversione della produzione in direzione dell’elettrico, la cui rapida espansione nell’ambito della mobilità rappresenta una grande occasione di profitto. Tra queste, da citare la britannica BP, che nel 2018 ha acquistato nel 2018 il network di colonnine di ricarica Chargemaster, e la francese EDF, che aveva comprato l’azienda Pod Point, anch’essa impegnata sul fronte dell'infrastruttura. È una pratica diffusa anche al di fuori dei confini inglesi, come dimostra ad esempio l'acquisizione da parte di Eni di tutte le colonnine Be Charge.

Rete di ricarica Shell e Ubitricity

Servono 200 milioni di euro

Shell non è da meno: da tempo sta portando avanti l’installazione di diverse colonnine di ricarica in Europa. In questa strategia si inserisce anche l'acquisto, avvenuto a febbraio, di Ubitricity, azienda tedesca che si stava facendo spazio proprio nel settore delle colonnine.

David Bunch, presidente di Shell per il Regno Unito, ha dichiarato che la compagnia ha voluto “dare agli automobilisti britannici una rete di punti di ricarica, in modo da favorire la transizione verso l’elettrico”. Per farlo, la compagnia ha già cominciato da tempo a costruirli vicino alle pompe di benzina o ai supermercati. Ora si prepara all’espansione definitiva. I costi non sono certo bassi: Oswald Clint, analista energetico, ha stimato che l’installazione di 50.000 punti di ricarica richiederà investimenti compresi tra i 100 e i 200 milioni di euro.

Ma Shell potrà contare sul sostegno del governo britannico, che ha offerto la copertura del 75% dei costi di installazione dei punti di ricarica, lasciando alle autorità locali il restante 25%. Resta il fatto che proprio le istituzioni locali, per ora, non vedono di buon occhio tale provvedimento, e molte si sono dimostrate reticenti a firmare l’accordo.

Rete di ricarica Shell e Ubitricity

Il rischio del monopolio

Anche la Competition and Market Authority tiene gli occhi puntati sull'operazione. Ha avvisato il governo britannico che la copertura di un numero così elevato di colonnine di ricarica da parte di Shell potrebbe condurre la compagnia petrolifera a monopolizzare il mercato.

La compagnia petrolifera, già solo con Ubitricity, detiene 3.600 dei 25.500 punti di ricarica presenti nel Regno Unito ed è di fatto l’azienda leader nel settore. Se le trattative di Shell con il governo britannico dovessero andare in porto, la compagnia petrolifera arriverebbe a detenerne addirittura un terzo dei 150.000 che secondo il Climate Change Committee saranno necessari in Regno Unito nel 2025. 

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