Dal terreno alle materie prime per le batterie, nel complicatissimo scacchiere geopolitico la prossima battaglia potrebbe tornare a essere combattuta sul piano commerciale. È quanto avrebbe fatto trasparire Jennifer Granholm, segretaria all’Energia degli Stati Uniti, in un incontro a Sydney con le più grandi compagnie minerarie del mondo, come Rio Tinto, BHP e Lynas.
L'antagonista? La Cina, che oggi rappresenta i tre quarti della produzione globale di accumulatori agli ioni di litio per auto elettriche. Gli Usa vogliono invertire la tendenza senza attendere i normali tempi industriali, ma preparando una vera e propria controffensiva fatta di cospicui aiuti finanziari alle maggiori imprese minerarie del mondo che vogliono operare negli States.
Contributi internazionali
“La nostra preoccupazione è che le materie prime critiche possano essere vulnerabili alla manipolazione, come abbiamo visto in altre aree, o all’uso bellico”, ha detto Granholm ripresa da Bloomberg. “Siamo molto seri nello stabilire solide relazioni con l’Australia e con potenziali clienti, con l’obiettivo di decollare”.
Dopo il primo assaggio, la numero uno dell'Energia Usa dà qualche dettaglio sul piano della Casa Bianca: garantire il supporto delle Agenzie governative americane alle imprese minerarie di diverse Nazioni, compresa la terra dei canguri, ricca di materie prime. Fra gli uffici disponibili al supporto, anche quello del dipartimento dell’Energia che gestisce i programmi di prestiti. I precedenti con Sirah e Lynas, per creare siti d’estrazione in Louisiana e Texas, ci sono già.
Seconda mossa
Sarebbe quindi economica l’arma che Washington vorrebbe sfoderare per sganciarsi dallo strapotere di Pechino. Una mossa che si inserirebbe nella corsa ai ripari cominciata a fine marzo, quando il presidente Joe Biden ha firmato il Defense Production Act (DPA) del 1950, che autorizza l’amministrazione a stilare una lista delle priorità su cui concentrare la produzione interna.
In cima all’elenco erano finite proprio le materie prime per la transizione energetica. Ma è evidente che un atto valido solo all’interno dei confini non basti per recuperare il gap con l’Asia. Serve qualcosa di più. E potrebbero essere le partnership internazionali.
Fonte: Bloomberg