Tremilaottocento meno duemilacinquecento fa, fino a prova contraria, milletrecento. La prima cifra riguarda i dipendenti di Ford Europe in esubero per puntare sull’elettrificazione; la seconda le nuove assunzioni previste nella Gigafactory dell’Ovale Blu (in tandem con CATL) a Marshall, nel Michigan.
La prima riflessione, un po’ scontata, è: forse la perdita di posti di lavoro nel passaggio dai motori termici ai powertrain elettrici, anche se pesante, non è così drammatica come molti pensano. La seconda, però, è che il saldo occupazionale insiste tra le due sponde dell’Oceano: 3.800 addetti in meno in Europa, 2.500 in più negli USA.
La terza considerazione potrebbe riguardare allora il modello yankee, diverso nei presupposti e più attrattivo in virtù di quel “buy America” che, pur cambiando le amministrazioni tra repubblicani e democratici, resta il punto chiave della politica stelle e strisce.
Tanto che la scelta di Joe Biden di privilegiare la mobilità elettrica made in USA con l’Inflation redution act (Ira) ha suscitato l’ira di un po’ tutto il mondo, Europa compresa. A Bruxelles stanno negoziando per stemperare le conseguenze che questo provvedimento protezionistico è in grado di determinare sull’automotive del Vecchio continente, ma per ora non sono noti risultati tangibili.
Ford E-Transit in produzione
Cosa manca
Nel frattempo, l’Europa ha definitivamente puntato sull’elettrico. O meglio, sulle alimentazioni non climalteranti. E, anche se mancano lo scontato via libera del Consiglio Ue e la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione, la strada è stata scelta. La decisione è quindi irreversibile, sia pure soggetta a dei check intermedi che rendono la data del 2035 non proprio granitica.
Ora, si può essere d’accordo o contrari (come il nuovo governo italiano), ma resta il fatto che, enunciato il principio, manca tutto il resto. Dove sono gli investimenti per garantire la transizione? Che cosa ne sappiamo delle politiche di sostegno ai livelli occupazionali? O bastano le rassicurazioni a voce del vicepresidente della Commissione Ue, Frans Timmermans? E i microprocessori? È stato varato il Chips Act, che il parlamento ha approvato ieri: peccato che sia stato presentato l'8 febbraio 2022, più di un'anno fa.
Che cosa dire poi di un vero progetto paneuropeo di infrastrutturazione? Roba da iperuranio? Per non parlare dei minerali utilizzati per le batterie: in Europa ci sarebbero anche, tanto che è stato scoperto in Svezia il più grande giacimento di terre rare, anche se pare ci vorranno parecchi anni prima che ne inizi l’estrazione.
Chip in carburo di silicio (SiC) di Bosch
Il giacimento di terre rare in Svezia
Europa indietro
Biden è rimasto fedele al dettato dell’America first, accompagnandolo però con un massiccio piano di sussidi pubblici (370 miliardi di dollari solo per la riduzione della CO2). L’Europa ha stabilito una regola, per certi versi rivoluzionaria, ma resta divisa al suo interno sulle misure di sostegno, come dimostra la recente querelle sugli aiuti di Stato con Germania e Francia. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato al Forum di Davos il Net-Zero Industry Act, per migliorare e sburocratizzare i processi produttivi in termini di impatto ambientale. È inoltre previsto un Fondo sovrano per gestire la transizione, ma chissà come e quando.
Parole, tante parole, con i fatti che poi dovranno passare al vaglio del ridondante processo di approvazione normativa dell’Unione, dovranno superare le procedure bizantine dell'apparato comunitario e, soprattutto, gli egoismi nazionali, per i quali stare in Europa è fondamentale salvo poi perseguirele i propri interessi locali e di nicchia. Non è che siamo un po’ in ritardo? O forse non era meglio preparare il framework, come dicono gli anglosassoni, e poi fissare la fatidica data del 2035? Ma il tempo stringe e il rischio di rimanere indietro nell'Europa-bradipo purtroppo è concreto.