Questo matrimonio s’ha da fare. Parafrasiamo la famosissima espressione de “I promessi sposi” per spiegare la nostra visione sulla mobilità del futuro. Perché la speranza è che, dopo tante tribolazioni, il lieto fine arrivi anche fra auto elettriche e automobilisti italiani.
Tanti, infatti, gli ostacoli da superare prima di celebrare l’agognata unione. Lo dimostrano i dati sulle vendite di settembre, che vedono le vetture full electric perdere l’1,9% del mercato rispetto allo stesso mese del 2022 e scivolare al 3,6% di quota (3,9% nel cumulato da inizio anno), contro un promettente 5% di agosto. Ma perché la Penisola fatica ad abbracciare la transizione?
Fanalino di coda
Prendiamo le mosse dal confronto con gli altri big 3 dell’Unione europea, ovvero Germania, Francia e Spagna, dove l’elettrico conquista market share rispettivamente del 18,6%, 15,4% e 4,8% nel periodo gennaio-settembre.
Paese | Quota di mercato auto elettriche (gennaio-settembre) |
Germania | 18,6% |
Francia | 15,4% |
Spagna | 4,8% |
Italia | 3,9% |
Basta pregiudizi
È quindi evidente che la rivoluzione fatichi quasi esclusivamente dalle nostre parti. Spicca infatti una certa resistenza psicologica a cambiare stile di vita e adattarsi alle nuove tecnologie. Per esempio, non tutti si sentono pronti a ricaricare l’auto durante la notte, invece di fare il pieno in 5 minuti dal benzinaio.
Sembrerà inoltre banale, ma l'Italia, nonostante non sia enorme per estensione territoriale, ha una particolare conformazione geografica ed è quindi un Paese spesso dalle lunghe percorrenze, che allo stato attuale mal si conciliano con la mobilità totalmente elettrica. Per lo meno nella mentalità dell'automobilista-tipo.
Poi, però, bisogna fare i conti con tutti gli altri problemi, spesso annosi, che affliggono l’Italia. A cominciare dai dibattiti pubblici e politici che demonizzano l’auto elettrica accusandola di cancellare migliaia di posti di lavoro.
Contesti così complicano ancora di più la vita delle auto elettriche, considerato che autonomia inferiore, infrastrutture di ricarica poco capillari e costi d’acquisto iniziali più alti sono già freni sufficienti alla diffusione delle zero emissioni, nonostante molte cose siano migliorate e continuino a farlo.
Una presa di ricarica per l'auto elettrica
Più incentivi e meno rincorse
Il pericolo, però, è di mettere l’Italia “in una posizione di continua rincorsa rispetto agli altri principali Paesi in Europa” e rendere “difficile il raggiungimento dei target europei in agenda nei prossimi anni”. A lanciare l’allarme è Adolfo De Stefani Cosentino, presidente di Federauto, che aggiunge:
“Auspichiamo che l’intesa del Mimit con il gruppo Stellantis possa concludersi in tempi rapidi così da poter riavviare efficacemente il meccanismo degli incentivi all’acquisto di veicoli non inquinanti”.
Già, gli incentivi, altra nota dolente in Italia. Cosa fare per migliorarli? L’associazione Motus-E dà la sua ricetta, parlando per bocca del segretario Francesco Naso: “Alzare il cap di prezzo per accedere alle agevolazioni, estenderle in forma integrale ad aziende e noleggi – anche per alimentare il mercato dell’usato elettrico – e rivedere in chiave green la fiscalità sulle flotte, tema su cui abbiamo già lavorato a una proposta mirata”.
Soluzioni sicuramente apprezzabili, ma che non basteranno se, fra le altre cose, l’Italia non supererà il suo scetticismo sulla mobilità sostenibile. L’appello a industria e politica è perciò quello di andare oltre le battaglie di retroguardia e mettersi sugli stessi binari degli altri. Il rischio, in termini di investimenti, è di diventare terra di nessuno.