Qualcuno ha già emesso la sentenza: a frenare la corsa dell’auto elettrica in Italia sono soprattutto gli stipendi bassi e i prezzi di listino alti. Certo, non si può negare che questi due ostacoli mettano i bastoni fra le ruote ai veicoli a batteria. Ma ridurre la questione al solo problema economico sembra alquanto riduttivo.

Una parziale smentita alla narrativa dominante arriva dai dati di Unrae presentati dal direttore generale Andrea Cardinali durante la conferenza “Nuovi scenari automotive e futuro della mobilità”.

Fanalino di coda

Sviscerando i numeri su quote di mercato delle vetture full electric e Pil pro capite (a parità di potere d’acquisto, PPA) nei vari Paesi europei, l’associazione scopre infatti che l’Italia dell’elettrificazione resta dietro non solo agli Stati più abbienti del Vecchio Continente, ma anche a quelli dove la ricchezza è addirittura inferiore.

Con un market share del 3,9% nei primi 10 mesi del 2023, la Penisola rimane alle spalle di realtà come Grecia, Spagna, Ungheria, Lituania, Slovenia, Romania e Portogallo; tutte regioni in cui il Pil pro capite a parità di potere d’acquisto è più basso rispetto a quello degli italiani. Il problema non è perciò solo reddituale, ma anche culturale, politico e infrastrutturale.

L'auto elettrica in Italia nel 2023 (dati Unrae)

Andrea Cardinali, direttore generale di Unrae

L'auto elettrica in Italia nel 2023 (dati Unrae)

Auto elettrica e Pil pro capite in Italia

Crescita a rallentatore

Prima in Europa per quota di mercato BEV (Battery electric vehicles) è comunque la Norvegia, forte di un bell’83,5%, mentre gli altri quattro grandi mercati del continente oscillano fra il 5% della Spagna e il 18% della Germania, con in mezzo il 16% della Francia e il 16,3% del Regno Unito.

La cosa più preoccupante è però il trend di crescita italiano, troppo lento rispetto al resto d’Europa: basta dire che il periodo gennaio-ottobre del 2023 regala all’auto elettrica tricolore solo lo 0,2% in più di market share nel confronto con tutto il 2022, quando la quota di mercato delle vetture full electric si era fermata al 3,7%.

L'auto elettrica in Italia nel 2023 (dati Unrae)

Il trend di crescita dell'auto elettrica in Italia ed Europa

I restanti big four registrano invece un +0,8% (passando dal 14,7% al 15,5%). Contemporaneamente, i Paesi leader dell’elettrificazione (Danimarca, Finlandia, Norvegia, Olanda e Svezia) e tutti gli altri Stati europei fanno rispettivamente +4,4% (passando dal 35% al 39,4%) e +3,4% (passando dal 14,7% al 15,5%).

La ricetta

Le cose migliorano poco guardando la fotografia che immortala lo stato dell’arte delle colonnine, con l’Italia 15esima nella classifica continentale per numero dei punti di ricarica installati ogni 100 chilometri di strada: 7,9; ben al di sotto della media europea di 12,3.

L'auto elettrica in Italia nel 2023 (dati Unrae)

Le colonnine di ricarica in Italia ed Europa

L'auto elettrica in Italia nel 2023 (dati Unrae)

Le emissioni di CO2 da nuove auto in Italia

L'auto elettrica in Italia nel 2023 (dati Unrae)

Michele Crisci, presidente di Unrae

Uno sguardo più ampio mostra poi una sofferenza generale di tutta la transizione italiana: le emissioni di CO2 dalle nuove immatricolazioni non scendono quasi più dal 2021. Cosa fare? Michele Crisci, presidente di Unrae, presenta le sue proposte:

  • trasferire al 2024 gli oltre 600 milioni di euro stanziati e avanzati nel 2023 a favore di auto elettriche e ibride plug-in
  • estendere la platea dei beneficiari dell’ecobonus
  • eliminare o alzare il tetto massimo di spesa
  • aumentare i contributi per BEV e PHEV
  • allungare il termine delle prenotazioni da 180 a 270 giorni
  • accelerare l’installazione dei punti di ricarica

“Si parla di transizione sostenibile economicamente in toni catastrofistici – è l’appello finale –, ma in realtà non è una minaccia, bensì un’opportunità di crescita per l’industria e tutto l’indotto. La transizione significa anche creare nuovi posti o riconvertire quelli esistenti, attrarre investitori esteri e nuovi impianti produttivi”.

Va bene discutere, ma non per restare immobili o difendere tecnologie che saranno presto obsolete, altrimenti il rischio è di restare legati al futuro dell’immobilità, quando invece il futuro della mobilità è ricco di opportunità”.