Le auto ibride plug-in possono rappresentare un ottimo compromesso per tanti proprietari. All'efficienza del motore elettrico, queste vetture abbinano la presenza di un tradizionale propulsore termico per combattere "l'ansia da ricarica" e avere così un'autonomia complessiva elevata, che in tanti casi supera i 1.000 km.
Certo è che l'autonomia complessiva tiene conto sia del serbatoio pieno che della batteria ricaricata al 100%. Quest'ultima situazione, però, non si verifica sempre. Secondo i dati analizzati da Electric Autonomy Canada, tanti automobilisti non ricaricano la propria ibrida plug-in, perdendo così tanti dei vantaggi di queste auto.
La batteria diventa una zavorra
I nuovi dati della società di telematica e gestione flotte Geotab, ottenuti da Electric Autonomy Canada, hanno rivelato che la maggior parte delle aziende che ha nella propria flotta delle ibride plug-in non ricarica queste auto.
L'analisi ha riguardato 1.776 veicoli, con le aziende che hanno dichiarato di operare queste auto per l'86% del tempo utilizzando esclusivamente il motore termico. In altri termini, questi veicoli viaggiano in elettrico solo il 14% del tempo.
Un valore bassissimo se si considera che, secondo uno studio di Alternative Fuels Data Center, la percorrenza giornaliera media di un'auto aziendale è di circa 110 km e che la maggioranza dei modelli può percorrere tranquillamente 50-60 km a batteria carica.
La Toyota Prius è disponibile unicamente come ibrida plug-in
Di conseguenza, è evidente che in tantissimi casi queste vetture non vengono utilizzate nel modo in cui sono state progettate, con un impatto non indifferente in termini di emissioni, ma soprattutto di consumi e costi di gestione.
In buona sostanza, le aziende (ma anche tanti privati, come evidenziano alcuni studi) spendono di più per acquistare modelli ibridi plug-in (attirati anche dai forti incentivi statali), ma non ne sfruttano appieno le potenzialità.
Così, più che dare una mano a contenere i costi, la batteria si trasforma in un'enorme e pesante zavorra di centinaia di kg.
Dalle flotte ai privati
C'è da dire che i risultati di Geotab sono simili a quelli di altri studi condotti di recente. Per esempio, la Direzione Generale per l'Azione per il Clima della Commissione Europea ha rivelato all'inizio di quest'anno che le emissioni di CO2 delle ibride plug-in sono 3,5 volte superiori nell'uso reale rispetto a quanto indicato dai test WLTP.
Per le PHEV immatricolate nel 2021, infatti, i risultati del WLTP mostravano valori di 39,6 grammi di CO2 per chilometro, mentre nel mondo reale si sono raggiunti 139,5 g/km.
La Commissione Europea ha commentato che "l'ampia discrepanza riscontrata per questi veicoli tra i valori reali e quelli WLTP dimostra che vengono caricati e guidati in modalità elettrica molto meno di quanto ci si aspettava".
L'International Council On Clean Transportation ha presentato risultati simili per le PHEV negli Stati Uniti, affermando che il consumo di carburante nel mondo reale può essere superiore del 42-67% rispetto alle stime dell'EPA.
Insomma, l'impressione è che occorra educare ulteriormente gli automobilisti e le aziende, cambiando il loro rapporto con questi veicoli, che sono di assoluta importanza in questa fase di transizione. Tra l'altro, le plug-in comportano cambiamenti minori nella propria routine quotidiana rispetto alle vetture elettriche.
Al pari di queste ultime, le PHEV possono essere ricaricate in casa o nel parcheggio aziendale (meglio ancora se la wallbox o la colonnina è collegata a un impianto fotovoltaico per contenere ulteriormente i costi), ma la batteria più piccola accorcia non poco le tempistiche di ricarica in tanti casi. E se bisogna percorrere tanti km e non c'è una stazione di ricarica nelle vicinanze, si può sempre contare sul motore termico.