Un appello forse senza precedenti quello dell’Iraq, fondatore dell’Opec e tra i principali esportatori al mondo di petrolio. A parlare per il Paese è stato Ali Allawi, ministro delle Finanze e vice primo ministro iracheno, che ha scritto un articolo sul Guardian con Fatih Birol, direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale per l’energia (Iea), per chiedere supporto nel processo di transizione energetica e fare squadra tra i Paesi produttori.
Partendo dalla richiesta che l’Iraq e gli altri petrol-Stati “vengano ascoltati alla conferenza sui cambiamenti climatici della Cop26 di novembre”, per essere aiutati a “non passare da soli all’energia pulita” e non mettere a rischio la transizione energetica, Allawi ha elencato i rischi che si correrebbero rimanendo fermi.
Solare e nucleare
Prima di tutto, la lettera sottolinea come il riscaldamento globale in Medio Oriente e Nord Africa non sia “una minaccia lontana, ma una realtà già dolorosa”, che “sta aggravando la scarsità d’acqua”. La stima è che in Iraq “le temperature possano aumentare fino a sette volte più velocemente rispetto alla media globale”.

Per “limitare i peggiori effetti del cambiamento climatico, il mondo ha bisogno di rivedere radicalmente il modo in cui produce e consuma energia, bruciando meno carbone, petrolio e gas naturale”. La speranza è seguire “un rinnovamento economico incentrato su politiche e tecnologie rispettose dell’ambiente”.
Quali? Per esempio il fotovoltaico, che in molte regioni del mondo “sta diventando sempre più accessibile rispetto all’elettricità proveniente dagli impianti a combustibili fossili”. Ma l’Iraq sta anche “osservando da vicino gli sviluppi tecnologici nel promettente campo dei piccoli reattori nucleari” per assicurarsi “un’ulteriore fonte di energia a basse emissioni di carbonio”.

Evitare povertà e disordini
Insieme all’apertura verso un rinnovamento in chiave green, però, Allawi chiede alla comunità internazionale di tener conto delle esigenze di ogni singolo Stato, altrimenti le conseguenze per le regioni coinvolte potrebbero essere drammaticamente “profonde”.
“Se le entrate petrolifere iniziano a diminuire prima che i Paesi produttori abbiano diversificato con successo le loro economie – spiega il ministro iracheno –, i mezzi di sussistenza andranno persi e i tassi di povertà aumenteranno. In una regione con una delle popolazioni più giovani e in più rapida crescita al mondo, le difficoltà economiche e l’aumento della disoccupazione rischiano di creare disordini e instabilità più ampi”. Un’ulteriore instabilità che in una polveriera come il Medio Oriente potrebbe avere conseguenze imprevedibili su scala globale.