“Riuso e riciclo sono le due facce della stessa medaglia e possono essere utilizzati in sinergia fra loro per ottenere il miglior risultato in termini di sostenibilità”. Ha preso le mosse da questa considerazione di Carlo Prelli, delegato di Class Onlus, la conferenza sulla seconda vita delle batterie per auto elettriche, un evento che ha anticipato l’edizione 2021 dell’annuale e_mob, il festival della mobilità elettrica a Milano.

Coordinato da Camillo Piazza, il convegno ha messo in mostra i risultati di un tavolo a cui hanno partecipato in nove, tra enti e società, dandosi l’obiettivo di creare la prima filiera italiana per la gestione della second life degli accumulatori agli ioni di litio. E così è stato.

Tutti insieme per le batterie

L’alleanza è stata proclamata ufficialmente con la firma di un Memorandum of Understanding e coinvolge Class Onlus, Anfia, Cobat, Innovhub Stazioni Sperimentali per l’Industria, Enel, Comau, Dipartimento di Meccanica del Politecnico di Milano, Rse, Flash Battery. Ognuno di loro avrà un compito diverso.

La catena del valore al centro del patto va dallo stoccaggio delle batterie dismesse alla verifica dello stato di salute per l’individuazione dei componenti ancora utilizzabili, dal riassemblaggio delle celle per un loro riuso al riciclo delle celle e dei moduli inutilizzabili.

Le barriere

Si può partire da un dato di fatto: dare nuova vita a una batteria è un’operazione complessa. Le difficoltà sono state spiegate da Claudio Rabissi, ricercatore del Politecnico di Milano (PoliMi). Prima di tutto, quando un accumulatore per auto elettriche arriva a fine vita? Il numero magico, come molti automobilisti EV sanno già, è l’80% di capacità residua.

È qui che si può iniziare a pensare al riciclo o al riuso. Se, però, il primo “porta a un calo delle materie prime critiche, a cominciare dal cobalto”, il secondo presenta diverse barriere, come la variabilità dei componenti da riutilizzare, che vanno dalle celle ai moduli, creando difficoltà a smontare gli accumulatori. Senza dimenticare i rischi d’incendio. E poi, come conoscere, senza sistemi armonizzati, lo stato di salute della batteria, fondamentale per prevedere quanto durerà la nuova vita?

La ricetta del PoliMi

Ecco perché lo stesso PoliMi si sta impegnando per superare questi ostacoli, con un’arma innovativa chiamata Laboratorio Circ-eV: “Dopo il ricevimento del modulo batteria – ha raccontato Rabissi –, il laboratorio procederà a una individuazione altamente automatizzata della tipologia” e “l’effettuazione di una diagnostica delle condizioni di invecchiamento”.

Poi, si “procederà al disassemblaggio automatizzato per ottenere le singole celle”. Ultimo step, il riassemblaggio, che porterà alla nascita dei moduli di second life. La rivoluzione si compirà nel primo trimestre del 2022, con il completamento del laboratorio.

Partnership uomo-macchina

In pratica, molto passerà dall’aiuto della robotica. E su questo argomento è intervenuto chi, della materia, se ne intende. Parliamo di Comau Robotics, diventata anche partner di Tesla. Rappresentata per l’occasione da Paolo Tebaldi, la società ha avvertito: “I costi di automazione sono un problema enorme, che deve essere assorbito dalla filiera, perché una batteria di second life deve essere competitiva, altrimenti obbliga gli acquirenti a sceglierne una nuova. Quindi bisogna capire se sono sopportabili”.

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Una volta superato il problema economico, resta però quello pratico. Pensiamo alle parti più piccole delle batterie da smontare: “Una mano umana può raggiungerle facilmente, ma un robot non ha la stessa destrezza”. Quale può essere il compromesso?

“Il primo mattoncino che vogliamo mettere – ha dichiarato Tebaldi – è la robotica collaborativa. In poche parole, facciamo fare al robot le operazioni pericolose, come quelle che coinvolgono l’alto voltaggio, e lasciamo viti e clip all’operatore”. L’altra pietra di Comau è la visione artificiale, “che dice al robot cos’ha di fronte a sé, come il tipo di pacco batterie”. Basta un periodo di training per avere dei sistemi completamente autonomi in futuro.

A ciascuno il suo

Nel panorama descritto, ognuno può fare la propria parte. Ad esempio, Flash Battery si impegna, come promesso dal ceo Marco Righi, a “produrre pacchi batterie riutilizzabili, che rendano più agevoli le attività di disassemblaggio e rimontaggio”, mentre InnovHub si mette a disposizione per fare “testing su consumi energetici e autonomia dei veicoli o delle batterie sottoposte a stress”, oppure ancora “studi LCA”: parola, questa volta, del responsabile all’ambiente Angelo Lunghi. Enel, in persona della Head of circular economy Fernanda Panvini, continuerà a fare esperimenti lungo la propria catena.

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Palla all’Europa

Ma il ruolo più importante spetterà all’Unione europea, chiamata a dare nuove regole per mettere la parola fine alla creazione di batterie troppo diverse da loro, con tutte le complicazioni descritte. Al momento, però, Bruxelles ha deluso. Questo, almeno, è il giudizio di Luigi De Rocchi, manager di Cobat per ricerca e sviluppo.

Se l’obiettivo è “un ecodesign che favorisca la realizzazione di batterie facilmente smontabili, il nuovo regolamento Ue (il New Battery Regulation, ndr) è stata un’occasione persa, perché si pensava che l’ecodesign entrasse tra i temi caldi, comportando una standardizzazione nei processi di produzione. Invece è diventato altro, guardando al risparmio energetico delle fasi produttive, ma non dei prodotti”.

Meglio per tutti

Gli effetti positivi di tutto questo sono diversi. I vari benefici sono stati ben sintetizzati da Luigi Mazzocchi, di RSE: “Avremmo una minore necessità di materie prime, rendendo meno costosi gli obiettivi di transizione che ci siamo posti. Ma anche una minore produzione di rifiuti, perché avremo meno scarti. Infine, costi più bassi, perché si ammortizzano lungo la catena”.