Il Parlamento europeo dice “sì” alle nuove regole sulle batterie, proposte dalla Commissione Ue a dicembre 2020. Il prossimo passo, per arrivare all’approvazione definitiva, sarà la trattativa con il Consiglio europeo, che dovrà dare il secondo e ultimo placet. Intanto, la “Eu Battery regulation” incassa 584 voti favorevoli, 67 “no” e 40 astensioni.

Ma cosa prevede il testo? Prima di tutto va a rinnovare la precedente legislazione del 2006, visto che gli anni sono passati e le cose sono cambiate, rendendo necessarie nuove norme per “tenere conto degli sviluppi tecnologici”, come scrivono gli eurodeputati.

Dalle etichette al riciclo

Passando ai contenuti, il Parlamento Ue chiede “requisiti più rigorosi in materia di sostenibilità, prestazioni ed etichettatura” e introduce la categoria di “batterie per mezzi di trasporto leggeri (LMT)”, come scooter e bici elettriche.

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Un altro obiettivo è che tutte le batterie portatili in dispositivi, come smartphone e LMT, siano progettate in modo da consentire ai consumatori di sostituirle facilmente, una volta arrivate a fine vita.

A questo proposito, l’Europarlamento stabilisce anche livelli minimi di materie prime come cobalto, piombo, litio e nichel da recuperare dagli accumulatori che hanno terminato il loro primo ciclo, per poi utilizzarle in nuove batterie.

“Per la prima volta nella legislazione europea – commenta la relatrice Simona Bonafè –, il regolamento sulle batterie stabilisce un insieme olistico di regole per governare l'intero ciclo di vita del prodotto, dalla fase di progettazione al fine vita”.

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Ultime, ma non meno importanti, sono le richieste in materie di sostenibilità etica. Secondo i deputati europei, l’industria dovrebbe garantire che la catena del valore sia ancora più rispettosa dei diritti umani, “affrontando così i rischi relativi all’approvvigionamento, alla lavorazione e al commercio delle materie prime, che spesso sono concentrati in uno o pochi Paesi”.

Parola al Consiglio Ue

Il prossimo step del regolamento, come accennato, sarà il tavolo con gli Stati membri. Ma qui potrebbe aprirsi un braccio di ferro. Era stata l’associazione Transport & Environment a segnalare che, a fine 2021 e sotto la presidenza slovena, il Consiglio Ue aveva proposto un testo con obiettivi al ribasso.

“Oneri amministrativi eccessivi” e “burocrazia” da non far pesare all’industria erano state le ragioni indicate. Stando a T&E, però, c’è altro dietro. L’organizzazione ambientalista sostiene che alcuni Paesi nell’est europeo non vorrebbero colpire gli stabilimenti di proprietà cinese che ospitano all’interno dei loro confini. La trattativa è ancora aperta.