Le celle 4680 di Tesla sono arrivate. Per il momento utilizzate solo sulle Model Y prodotte in Texas, hanno dato avvio a quella che la Casa americana considera una vera e propria rivoluzione. Ma come sono fatte? La risposta arriva da un video pubblicato su YouTube da The Limiting Factor che, per l’occasione, ha chiesto l’aiuto di un team di ricercatori della University of California di San Diego.
Il filmato, che è stato girato in 4 ore ma è stato poi condensato in poco più di una, smonta pezzo per pezzo la famosa cella presentata da Elon Musk durante il Battery Day del 2020 e ne mostra l’interno, analizzando componenti e metodi costruttivi.
Le dimensioni contano
Come sappiamo, le 4680 sono celle cilindriche di grosse dimensioni (hanno diametro di 46 mm e un’altezza di 80) che promettono una densità energetica maggiore rispetto alle tradizionali altre celle adottate nelle batterie delle Tesla, quelle 1865 e 2170 che ancora sono montate su tanti modelli.
Nello specifico, hanno 6 volte la potenza e 5 volte l’energia delle 2170 e per questo garantiscono circa il 16% di autonomia in più. Hanno una chimica tradizionale e anche dal punto di vista costruttivo non presentano particolari novità. Il segreto sta proprio nelle generose dimensioni (sono le più grandi in circolazione).
Un case a prova d’urto
All’inizio del video viene spiegato che la cella che si andrà a smontare proviene dalle linee pilota dello stabilimento Tesla di Fremont, in California, dove l’azienda sta mettendo a punto metodi costruttivi che gli permettano di aumentare i volumi.
La prima operazione svolta in laboratorio è già abbastanza complessa. Aprire l’alloggiamento esterno è difficile perché l’acciaio utilizzato è molto spesso e resistente. Questo perché le celle 4680 sono usate in batterie con architettura cell-to-pack, in cui si osserva l’assenza di componenti intermedi come i moduli e pertanto la struttura di protezione esterna ha una funzione ancora più importante.
Una struttura tradizionale
Una volta aperta si scopre, nella parte inferiore, un disco in rame che è direttamente collegato al polo negativo della cella. In gergo viene chiamato "fiore" ed è a contatto con l’anodo. Analogamente, nella parte superiore della cella è presente un altro fiore in alluminio collegato questa volta al catodo (polo positivo).
Per tutta la lunghezza della cella, poi, si trova il classico jelly roll composto da tre fogli sovrapposti (anodo, separatore e catodo) che sono poi arrotolati su se stessi e formano una specie di spirale che viene poi immersa nell’elettrolita. Qui sotto un video di EEVblog che spiega bene le caratteristiche di una cella cilindrica dotata di jelly roll.
Cosa colpisce, nelle celle 4680, è la relativa semplicità costruttiva. Tesla, infatti, nel progettare questo tipo di accumulatori, ha voluto seguire una strada precisa: alzare le prestazioni rispetto alle celle esistenti mantenendo tecnologie e formule chimiche note, per arrivare sul mercato in tempi relativamente brevi e per mantenere i costi di produzione bassi (converrà rispetto allo stato solido?).
Tutti al lavoro per produrle
Come detto, al momento le celle 4680 sono utilizzate esclusivamente sulle Model Y che escono dalla Gigafactory di Austin in Texas, ma saranno presto montate adottate dalle Model Y realizzate in altri stabilimenti, mano a mano che la produzione (e la fornitura da parte di altri costruttori) aumenterà.
Proprio la definizione di un processo produttivo adeguato, infatti, rappresenta l’ostacolo maggiore per la produzione di massa. Ad esso lavorano Tesla, chiaramente, ma anche Panasonic, LG Chem, Samsung e altre aziende che sperano di poter proporre questo tipo di celle anche ad altre Case automobilistiche.