L'idrogeno sarà il vettore energetico del futuro? Una risposta precisa ancora non esiste, ma, come abbiamo scritto poche settimane fa in tre approfondimenti dedicati che trovate linkati a fondo pagina, molti Paesi stanno sviluppando infrastrutture di rifornimento, impianti per effettuare l'elettrolisi e perfino veicoli, per poter essere pronti a questo tipo "alternativo" di transizione energetica in un prossimo futuro.
Ma, scavando ancora più in profondità, a cosa potrebbe servire nel concreto l'idrogeno? Se è vero che per il trasporto privato la mobilità 100% elettrica rappresenterà l'ideale soluzione, grazie a tempi di ricarica che si stanno accorciando gradualmente e auto che costano sempre meno - come il caso Tesla di cui si sta parlando tanto in questi giorni - uno dei settori che ne potrebbe fare un uso più intenso potrebbe essere quello del trasporto commerciale, un mondo dove i pesi in gioco sono importantissimi, così come i tempi di lavoro, spesso molto stretti.
All'interno del settore della logistica, il trasporto marittimo è quello che al momento si trova più avanti nell'uso dell'idrogeno. Proviamo a capire perché, premettendo che in mezzo ci sono anche delle importanti decisioni politiche.
Dove e quando tutto è iniziato
L'idea di sfruttare l'idrogeno per movimentare i porti del Continente è approdata a Bruxelles nel 2018, anno in cui la Commissione Europea, pubblicando un vasto documento dal titolo Hydrogen technologies for the European port industry, ha annunciato la creazione del progetto H2Ports.
Si tratta di un grande piano per sfruttare questo vettore energetico e i veicoli Fuel Cell all'interno della stazione marittima di Valencia, per riuscire a mantenere la normale operatività senza dover sfruttare enormi quantità di energia elettrica, non sempre accessibile - questione che proprio nei giorni scorsi ha fatto discutere per la fine del progetto della gigafactory Italvolt. Un progetto ideato perché ciascun porto è, in poche parole, una piccola città nella città in cui si trova, in grado di funzionare in autonomia, giorno e notte, secondo un preciso e accurato programma.
In una stazione marittima, a ogni ora, arrivano navi cariche di merci che hanno bisogno di essere scaricate immediatamente, per poter poi essere ricaricate per lasciare il molo - cioè il parcheggio - libero per la nave successiva. Non esiste, infatti, lo spazio fisico per accogliere tutte le navi del mondo in porto nello stesso momento (ricordate nel 2020 le navi da crociera ancorate fuori dalle città marittime italiane?) e quindi i tempi di carico e scarico devono essere più rapidi possibili.
I primi porti che nei prossimi anni abbracceranno la transizione energetica passando all'uso dell'idrogeno per movimentare le merci saranno quelli spagnoli e francesi, perché entrambe le nazioni si trovano in una condizione molto avanzata per quanto riguarda la possibilità di ricavare idrogeno verde dall'acqua - lo abbiamo raccontato nel terzo approfondimento sull'idrogeno pubblicato a gennaio - e recentemente hanno firmato il grande accordo H2Med, insieme alla Germania.
Come si procederà
Provate a pensare a un porto. Subito vi verranno in mente le grandi gru sotto le quali si ormeggiano le navi cariche di container per poter essere scaricate, ma i macchinari in uso nelle stazioni marittime sono vari e diversi. Si spazia dalle pompe per lo scarico dei materiali liquidi, fino alle gru a pala per lo scarico dei materiali secchi, e, infine, alle gru e ai macchinari più compatti per lo scarico dei box di acciaio.

Il porto di Valencia
Parlando di quest'ultimi, in particolare, il carico e lo scarico di una nave portacontainer avviene in diverse ore di lavoro continuativo, anche notturne - per i motivi di cui abbiamo parlato sopra - qualcosa che per gli addetti ai lavori significa una turnazione continua secondo il contratto di lavoro nazionale, ma che per i macchinari si traduce in intense ore di utilizzo senza mai fermarsi.
In tal senso appare chiaro come, per esempio, delle gru 100% elettriche richiederebbero delle enormi batterie per non scaricarsi durante tutta l'operazione di scarico, oppure una connessione alla rete elettrica di enorme portata.
In entrambi i casi, non si tratta di soluzioni efficienti dal punto di vista della produttività, sia per questioni ambientali (da dove si potrebbe ricavare una quantità di energia così vasta?) sia per i tempi di rifornimento delle batterie - considerando che la ricarica in megawatt è ancora in fase sperimentale, ne parliamo spesso su OmniFurgone.

Il carrello elevatore Hyster a idrogeno per il porto di Valencia
Diversi produttori mondiali di questo genere di mezzi hanno quindi iniziato a pensare nell'ultimo periodo all'idrogeno come valida soluzione. Una delle prime realtà ad aver deciso di testare questa tecnologia è Hyster, azienda americana parte del gruppo Yale specializzata nella produzione di carrelli per la movimentazione di merci - in gergo conosciuti come "muletti" - che per i porti di Amburgo e Valencia ha ideato una nuova tipologia di veicolo per la movimentazione di container.
Il macchinario si chiama Reach Stacker e promette la stessa efficienza di un corrispettivo caricatore diesel, senza emettere alcuna particella di CO2 nell'ambiente circostante. E' alimentato da una grande cella combustibile prodotta dall'azienda statunitense Nuvera, tra i leader mondiali nella fabbricazione di Fuel Cell per applicazioni industriali e sussidiaria sempre del Gruppo Yale.
I porti delle due città saranno i primi dove questa tecnologia andrà a operare, grazie a infrastrutture di rifornimento create ad hoc e già attive, che, in entrambi i casi, oltre ad alimentare il carrello elevatore riforniranno anche dei camion 4x4 che presto saranno consegnati, utili allo spostamento di box tra moli più distanti.

Il carrello elevatore Hyster a idrogeno per il porto di Amburgo

L'impianto di rifornimento di idrogeno nel porto di Valencia
Il resto del mondo
Ma la Germania e la Spagna non sono le uniche Nazioni che stanno già sperimentando l'uso di idrogeno per la logistica portuale. Consultanto il sito dell'International Association of Ports and Harbour, l'Ente mondiale che si occupa di riunire tutte le autorità portuali esistenti, si può vedere come anche, per esempio, i porti di Amsterdam, Londra, Yokohama, Los Angeles e Marsiglia stiano già a buon punto nello sviluppo di questo tipo di idee per ridurre l'uso del gasolio.
Anche l'Italia non è da meno con il programma Green Ports, che ha come obiettivo quello di decarbonizzare il trasporto commerciale da e per i porti attraverso la realizzazione di impianti di elettrolisi per mezzo di energia ricavata da fonti rinnovabili.
Il primo progetto a vedere la luce dovrebbe essere quello del Porto di Genova, il cui studio di fattibilità è stato affidato, a Febbraio 2023, dall'Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure a Rina Consulting. L'azienda si è aggiudicata il bando da 115.000 euro per sviluppare un Progetto di Fattibilità Tecnico-Economica per la realizzazione di un impianto produttivo in loco, destinato ad alimentare 5 nuovi mezzi a idrogeno di proprietà dello stesso ente portuale.
Nei prossimi anni, quindi, assisteremo a una graduale decarbonizzazione delle aree portuali di tutto il globo e sembra che la mobilità 100% elettrica non giocherà un ruolo fondamentale, lasciando spazio all'elemento più discusso del decennio.
I nostri approfondimenti sulla mobilità a idrogeno: