Le auto elettriche non si diffondono perché manca l’infrastruttura. E cioè da un lato le colonnine di ricarica per le auto a batteria (BEV, Battery Electric Vehicles) e dall’altro le stazioni di rifornimento di idrogeno per le auto con celle a combustibile (FCEV, Fuel Cell Electric Vehicles). Ma perché i costruttori automobilistici dovrebbero investire nella realizzazione di nuovi veicoli elettrici se l’industria, le grandi società energetiche e le istituzioni non fanno la loro parte nel creare, appunto, l’infrastruttura? È il tipico cane che si morde la coda, se non il più classico dei paradossi: nascerà prima l’uovo (l’auto elettrica) o la gallina (l’infrastruttura)?


La risposta è che sarà la vendita di veicoli elettrici alimentati da celle a combustibile (e dunque idrogeno) a trainare la creazione di punti di rifornimento. Non il contrario. O almeno, questo è ciò che sta per avvenire secondo una nazione come la Gran Bretagna, in uno scenario emerso a Londra proprio in concomitanza con le dichiarazioni d’intento anche dell’Italia, attraverso il cosiddetto decreto Clima del governo del premier Conte, secondo cui: “l'idrogeno può rappresentare una grande opportunità per il nostro Paese e per affrontare in maniera strutturale il tema dei cambiamenti climatici, in una prospettiva di decarbonizzazione".

I trasporti cambieranno la società

L’incontro a cui abbiamo partecipato nel Regno Unito è stato organizzato da Toyota, che con una flotta di Mirai ad idrogeno messe a disposizione per gli spostamenti durante questo evento ha sottolineato come i trasporti siano al centro di un cambiamento della società che, a detta del gruppo di aziende e di rappresentanti delle istituzioni britanniche con cui abbiamo parlato, deve partire proprio dal settore della mobilità. Vi riportiamo dunque la visione di questo consorzio di società che, avendo a fare da anni con l’idrogeno, fa previsioni su ciò che accadrà nei prossimi decenni nel passaggio dall’economia dei combustibili fossili a quella dell’idrogeno e delle energie rinnovabili.

Convegno idrogeno 2019

Milioni di euro, invece che miliardi

L’idea alla base del ragionamento nasce dalla classificazione delle attività produttive umane che si reggono sugli idrocarburi in 3 grandi categorie: industria, riscaldamento, trasporti. I primi due sono i settori più difficili da decarbonizzare nel passaggio dall’energia fornita tipicamente dal gas naturale a quella dell’idrogeno, per una questione di scala. In altre parole, le dimensioni e dunque i costi di conversione anche solo di un singolo stabilimento siderurgico o chimico, oppure di un metanodotto, impediscono che il cambiamento possa partire da qui. Per intenderci: parliamo di investimenti nell’ordine del miliardo di euro per impianto. Ed è questo il punto.

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La chiave è nell’idrogeno per mezzi pesanti

Per far diffondere l’idrogeno, dunque, la strategia è quella di investire cifre minori (fra poco vedremo in che misura), in grado al tempo stesso di fare da volano per stimolare l’utilizzo della nuova fonte di energia in altre situazioni. Il punto di svolta individuato dai ​player​ britannici sarà sostituire progressivamente i veicoli pesanti alimentati a gasolio con dei nuovi mezzi Fuel Cell. Il meccanismo immaginato è il seguente. Le amministrazioni pubbliche da un lato e le flotte aziendali private dall’altro dovrebbero effettuare ordini di decine o centinaia di veicoli a celle a combustibile.

A titolo di esempio, ad oggi un autobus con celle a combustibile costa in media 500.000 euro, il che porta nel ragionamento a blocchi di investimento di 100-200 milioni di euro (quindi inferiori a quelli discussi in precedenza) e innesca un circolo virtuoso. A quel punto, con la creazione di questi nuclei iniziali di domanda di idrogeno, istituzioni e società energetiche collaborerebbero per realizzare le prime stazioni di rifornimento, che a loro volta hanno un costo medio unitario di circa 1 milione di euro per la costruzione (di nuovo inferiore allo scenario descritto sopra per i settori dell’industria e del riscaldamento).

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Gli esempi virtuosi

Moltiplicate questo approccio su tutto il territorio, prima in corrispondenza delle città più grandi e via via nelle altre realtà, ed ecco che la rete per alimentare ad idrogeno anche le auto per trasporto passeggeri (a iniziare dalle flotte di taxi e auto aziendali) a quel punto diventa disponibile. Creando inoltre consapevolezza e fiducia sulla fattibilità di utilizzo dell’idrogeno non solo nel pubblico, ma nel privato. E non solo nei trasporti, ma anche per il riscaldamento degli edifici e di conseguenza a monte, nell’industria, coinvolgendo i due settori produttivi di cui abbiamo parlato prima.

Alcuni esempi di questa strategia sono il progetto JIVE, che coinvolge 300 bus FCEV in 22 città europee distribuiti con 88 veicoli in Germania e Italia, 50 nella regione del Benelux, 15 in Francia, 50 nell’Europa del nord-est e 88 in Gran Bretagna; il consorzio H2Bus che prevede l’adozione sempre in Europa di 1.000 autobus a celle a combustibile entro il 2023, iniziando da Danimarca, Lettonia e Regno Unito; l’ordine di ​1.600 camion a idrogeno​ per il trasporto su gomma in Svizzera, che come conseguenza ha dato vita ad un elettrolizzatore da 2 MW di potenza alimentato da una centrale idroelettrica.

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Le aziende protagoniste

Secondo le aziende con cui abbiamo avuto modo di parlare a Londra, questo meccanismo è applicabile anche ad altri mezzi di trasporto: pullman turistici, autoarticolati, veicoli commerciali e in un secondo momento treni (dove ancora esistano convogli con motori diesel) e traghetti. Questa, insomma, è la visione che ci è stata condivisa da nomi conosciuti nel mondo dell’auto come Toyota, Shell e Arval, accanto a quella di fornitori specializzati in celle a combustibile, elettrolizzatori e altri sistemi ausiliari come Johnson Matthey, ITM Power, Intelligent Energy, Fuel Cell Systems, Arcola Energy, Riversimple, Tayler Construction Plant, JC Easycabin Ecosmart, oltre a società di consulenza tecnologica come Element Energy.

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Un discorso strategico per le nazioni

E concludiamo con la politica, avendo avuto modo di dialogare con UKH​2​Mobility, un ente di collaborazione fra industria e istituzioni per far lavorare di squadra - su tematiche complesse come quelle energetiche - i marchi automobilistici (Toyota, Honda, Daimler, Nissan, Tata Motors and Hyundai), i fornitori di idrogeno (BOC-Linde, Air Liquide, Air Products, ITM Power), i fornitori di tecnologia (Johnson Matthey, Intelligent Energy) e la compagnia energetica SSE assieme al governo inglese, scozzese, gallese e l’amministrazione di una metropoli complicata come Londra. Il tutto con un obiettivo di sottofondo dichiarato: puntare sull’idrogeno sarà strategico per molti Paesi non solo per la riduzione delle emissioni.

La Gran Bretagna - così come il Giappone, ad esempio - non crede infatti che rimarrebbe indipendente immaginando un’elettrificazione della società basata solo sulle batterie. Mentre l’idrogeno, al contrario, può essere prodotto internamente alla nazione, senza che questa debba dipendere da altri su un tema così delicato come l'approvvigionamento energetico. Un discorso che, sulla carta, si potrebbe applicare benissimo anche all’Italia, anche se purtroppo non sembra che ci sia l’atteggiamento giusto per ragionare così a lungo termine, data la mancanza cronica nel nostro Paese della capacità di pianificare delle strategie d’interesse comune.

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