Disastri naturali, controversie di lavoro, ritardi e, ovviamente, pandemie. Sono tanti gli eventi in grado di creare discontinuità nel mercato delle terre rare, elementi fondamentali di tantissimi dispositivi elettronici e mezzi di trasporto: dai telefoni, agli aerei e alle auto elettriche.
Uno studio dell’Argonne National Laboratory, che fa capo al Dipartimento di Energia degli Stati Uniti (DOE), punta la lente sulle conseguenze che un blocco del mercato, provocato da una chiusura delle miniere, avrebbe in un mondo sempre più dipendente dalle nuove materie prime.
Rare, ma non troppo
L’analisi parte dalla premessa che i 17 elementi classificati come terre rare non sarebbero, in realtà, così rari da trovare. A rendere le cose difficili sono invece i costi di estrazione e la procedura per separare le componenti tra loro. Dopo essere stati portati alla luce, i vari neodimio, praseodimio e disprosio vengono usati in gran quantità per costruire tecnologie green, come turbine eoliche e auto elettriche.
Proprio il boom della transizione ecologica ha portato gli Stati Uniti a classificare questi elementi come materie prime critiche, cioè fondamentali per un futuro sostenibile. E lo stesso ha fatto l'Europa con un piano d'approvvigionamento ad hoc. Per ora, la situazione va bene alla Cina: dentro la Grande Muraglia si produce infatti il 58% di terre rare estratte in tutto il mondo. Per fare il confronto, gli Usa si sono fermati al 15% nel 2020. Il Dragone controlla anche l’85% della capacità di raffinazione di questi minerali e potrebbe comandare il mercato del rame.

Conseguenze per anni
Lo studio analizza quindi cosa succederebbe se, per cause diverse, si verificasse uno stop forzato alle forniture di 10 fra questi elementi. Persino situazioni temporanee, come l’arresto delle esportazioni o la chiusura biennale delle miniere, trascinerebbero i loro effetti sui prezzi per anni.
Le conseguenze su produzione e domanda durerebbero anche di più, mentre alcuni siti fuori dalla Cina non sarebbero neanche in grado di riaprire in tempi brevi dopo stop più o meno prolungati. Le terre rare più sensibili si sono dimostrate l’ossido di disprosio, usato per magneti permanenti, leghe speciali e altre applicazioni, e quello di didimio, una miscela di neodimio e praseodimio.
Altri modelli in arrivo
La mente pensante dell’analisi è il Global Critical Materials (GCMat) di Argonne, un modello che simula le interazioni tra i diversi agenti e fattori di un sistema per prevedere le dinamiche del mercato e le decisioni che produttori e consumatori prenderebbero su prezzi, quantità delle forniture, volumi di produzione e capacità di risposta alle oscillazioni. Scelte che poi “si estendono a cascata nel mercato e nella catena di approvvigionamento”, come ha spiegato Allison Bennett Irion, coautore dello studio e presidente di dell'Argonne’s Advanced Supply Chain Analytics initiative.
Il prossimo passo dei ricercatori sarà perfezionare il modello e far entrare in gioco le politiche statunitensi sulla riduzione delle emissioni di gas serra o l’accantonamento di scorte. Gli scienziati promettono anche di studiare con un grado di dettaglio ancora maggiore come la carenza di forniture si rifletterebbe nel mercato delle batterie agli ioni di litio usate nelle auto elettriche.