Dialoghi aperti, tanto in Oriente quanto in Occidente, per far cadere la legge che sta dividendo il mondo dell’auto: l’Inflation Reduction Act, il piano degli Stati Uniti che prevede, tra le altre cose, 7.500 dollari di incentivi per le auto elettriche, ma solo se assemblate in Nord America e dotate di batterie prodotte con materie prime estratte in Usa o in Paesi con cui Washington ha un accordo di libero scambio.

Dopo la Corea del Sud è l’Unione europea a tornare alla carica con la moral suasion sugli States. Sullo scacchiere internazionale si muove ora Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione Ue e commissario per il Commercio, che mercoledì ha incontrato la controparte americana, Katherine Tai, nel tentativo di trovare un compromesso.

Settimane decisive

Teatro del faccia a faccia è stata la Germania, dove Tai è volata per partecipare alla riunione dei ministri del Commercio del G7. A margine del summit su acciaio e alluminio, i due si sono parlati e, come riporta l’amministrazione a stelle e strisce, “hanno concordato di proseguire le discussioni sui crediti d’imposta per i veicoli elettrici previsti dall’Inflation Reduction Act”.

 

Il prossimo appuntamento è fissato alla fine del mese a Bali, in Indonesia, in occasione dei lavori di preparazione al G20, in calendario per metà novembre. Dombrovskis e Tai porteranno avanti la trattativa nelle settimane a venire, che saranno forse decisive. Anche perché, come accennato, l’Europa non è sola in questa “battaglia”.

Rinforzi da est

Andrà in scena venerdì un meeting fra i rappresentanti di Seoul e quelli di Washington. L’obiettivo è rivedere lo schema degli incentivi, che rischiano non solo di penalizzare i costruttori stranieri senza stabilimenti in Nord America, come Hyundai e Kia, ma anche di violare le regole dell’Organizzazione mondiale del Commercio (Wto).

“Difficile modificare le norme, perché sono state appena promulgate”, fa sapere uno scettico Ahn Duk-geun, ministro coreano del Commercio.

Qualche margine di manovra però potrebbe esserci: si passa da deroghe ad hoc a interpretazioni “creative”. I lavori rischiano di andare per le lunghe, ma alla base del negoziato c’è la volontà di arrivare a un punto d’incontro, perché uno strappo nei rapporti fra i Paesi non farebbe bene a nessuna delle economie.