La produzione di idrogeno nel mondo continua a crescere rapidamente. A confermarlo sono i numeri riportati da Hydrogen Council e McKinsey & Company nel report annuale Hydrogen Insights 2023: an update on the state of the global hydrogen economy.
Secondo le due realtà, che hanno analizzato 1.040 progetti già attivi o in fase di costruzione su tutto il Pianeta (trovate la mappa più in basso), l'America, la Cina e l'Europa sono al centro della produzione di questo nuovo carburante - che può anche diventare un combustibile -, ma in modi ben distinti e con obiettivi altrettanto diversi. Vediamo tutti i motivi, i numeri e gli obiettivi nel dettaglio, per capire come la mobilità potrebbe trarne beneficio.
Il ruolo dell'idrogeno
Per capire bene dove si sta dirigendo il settore energetico con questo nuovo carburante derivato dall'acqua, è importante inquadrarlo brevemente all'interno dell'economia mondiale.
Immaginate una sostanza con una buona efficienza energetica che, se prodotta in modo corretto, può essere 100% sostenibile e utile ad alimentare tutti quei macchinari e sistemi non equipaggiabili con un pacco batterie e, quindi, non dipendenti esclusivamente dall'energia elettrica della rete pubblica (o rinnovabile).
Se pensate che sia qualcosa di estremamente futuristico, vi sbagliate, perché esiste già ed è proprio l'idrogeno. Realizzato in modi estremamente diversi - che vedremo tra poco - e applicato in diversi settori e per diversi usi, si tratta di una sostanza al centro dell'attenzione mediatica globale, perché potrebbe decarbonizzare il settore dei trasporti nelle filiere non elettrificabili.

I progetti analizzati da Hydrogen Council
Chiaramente non è tutto oro quel che luccica, perché, per essere davvero sostenibile e a impatto zero in base alle direttive europee, deve nascere da energia elettrica rinnovabile, che genera il cosiddetto idrogeno verde, oppure con energia elettrica ricavata da centrali nucleari (il cosiddetto idrogeno rosa, sdoganato da Bruxelles poche settimane fa).
Il 2022 di America, Europa e Cina
Venendo ai numeri, come anticipato, nel corso del 2022 la capacità produttiva di idrogeno in Nord America, Europa e Cina (le tre parti del mondo più attive in questa tecnologia) è aumentata esponenzialmente, seppur a diverse velocità.
Gli Stati Uniti sono stati la potenza mondiale che ha più investito, economicamente parlando, in questa tecnologia, con un totale di circa 10 miliardi di dollari, finanziati per lo sviluppo di una capillare rete di impianti produttivi. Dopo gli USA si è posizionata l'Europa, a quota 7 miliardi di dollari, e infine la Cina, a quota 5 miliardi di dollari.
Quest'ultima, tuttavia e nonostante il numero inferiore di fondi dedicati all'idrogeno, è stata quella che ha registrato la crescita anno su anno più grande, pari al 200% - e tra poco vedremo come ha fatto.

Le previsioni dell'idrogeno per il 2023
Per capire perché la Cina ha segnato una variazione percentuale così elevata è opportuno capire quale modo produttivo abbia scelto di utilizzare per ricavare l'idrogeno dalla molecola dell'acqua. Oltre alla pila PEM (di cui abbiamo spiegato brevemente il funzionamento poche settimane fa e che è il metodo più utilizzato in Europa e negli USA), esiste infatti un secondo modo per scindere l'ossigeno e lo ione H+: la reazione chimica.
Si chiama reazione Alcalina e consiste, in poche parole, nel far reagire l'acqua con idrossido di potassio o di sodio (liquidi). In questo modo si può tecnicamente fare a meno della corrente elettrica per alimentare l'ipotetica pila, ricorrendo a un più semplice diaframma fisico in cui far defluire le molecole di H2O.
Ovviamente la questione è ben più complessa di come l'abbiamo appena illustrata, ma appare ben chiaro come si tratti di un modo del tutto diverso da quello tipicamente utilizzato nel resto del mondo e comportante un minor dispendio di energia elettrica.
Ma per quale motivo la Cina ha deciso di fare affidamento in questa tecnologia "diversa"? La risposta è semplice: perché è un Paese ancora piuttosto indietro dal punto di vista delle energie rinnovabili.

I vari modi di produrre idrogeno e come sono distribuiti nel mondo
La Cina, però, non è l'unica potenza mondiale ad aver optato per questa strada. Ampliando infatti il discorso numerico a tutto il mondo, nel 2022 l'elettrolisi alcalina ha rappresentato circa il 60% di tutta la produzione globale di idrogeno, con il processo per pila PEM (elettrolitico) che si è fermato a quota 30% sul totale.
Quest'ultimo, nel 2022, è aumentato globalmente del 30%: un risultato che Bruxelles mira ad ampliare ulteriormente entro la fine del decennio. Sempre nello stesso anno, si sono raggiunti i 700 MW di capacità energetica produttiva (rispetto ai 530 MW del 2021): la maggior parte di quest'ultima è oggi installata in Cina (circa 300 MW), seguita dall'Europa (circa 180 MW).
Parlando specificamente di idrogeno verde, invece, la capacità produttiva globale in termini di tonnellaggio per il 2022 è stata pari 1 Mt p.a. (1/3 del totale, mentre l'anno precedente ci si era fermati a quota 0,4 Mt p.a.); di questi, la maggior parte è stata prodotta sempre in Cina (quota del 35% dei volumi), in Medio Oriente e in Nord America (quota del 20% dei volumi ciascuno).
In questo caso l'Europa si è fermata molto prima, a quota 5% dei volumi. Un fatto, quest'ultimo, probabilmente dovuto a una possibile mancanza di trasparenza sul quadro normativo e sui sussidi, nonché agli alti prezzi dell'energia a seguito della guerra in Ucraina.
Si può fare di più
Nonostante i progressi, Hydrogen Council e McKinsey & Company sostengono che il mondo è in ritardo rispetto agli obiettivi prefissati. Per rispettarli, sarebbe necessario un aumento di capacità produttiva di oltre venti volte quella attuale entro il 2030.
Questo dovrebbe comportare, negli anni immediatamente successivi al 2023, una cospicua iniezione di capitali da parte dei diversi Paesi del mondo e una grande revisione delle regolamentazioni oggi in gioco, per semplificare di molto i processi di costruzione dei siti produttivi - che l'Italia, con i fondi del Pnrr, mira a posizionare in luoghi industriali dismessi, come sta accadendo in Puglia.

La nostra mappa sulle stazioni di rifornimento di idrogeno attualmente in costruzione in Italia
C'è poi un altro tema fondamentale da affrontare, quello delle (poche) stazioni di rifornimento. Parlando strettamente di mobilità, infatti, McKinsey ha stimato che oggi nel mondo ci sono poco più di 1.000 impianti di rifornimento effettivamente attivi: un numero basso se paragonato alle innumerevoli possibilità che potrebbe offrire nei prossimi anni questo carburante - anche in questo caso l'Italia è piuttosto avanti, dopo aver illustrato pochi mesi fa il piano di implementazione di una rete capillare di stazioni di rifornimento basato sulle direttive europee della strategia Fit for 55.
Come in questo caso, infatti, allargando il discorso a tutto il nostro Continente, le nuove pompe di rifornimento dovrebbero sorgere in territori che possono avvalersi di criteri premianti per vincere i fondi governativi. Tra questi la vicinanza a una Hydrogen Valley, oppure la vicinanza a un corridoio commerciale TEN-T.
Obiettivo 2030
In conclusione, dai numeri analizzati da McKinsey per Hydrogen Council, appare chiaro che il mondo si sta muovendo bene per riuscire a far diventare l'idrogeno un carburante alla portata di tutti, ma non abbastanza in fretta.
Per rientrare negli obiettivi di zero emissioni fissati al 2050, di cui abbiamo parlato anche in questo caso più volte, è necessario prima di tutto aumentare la capacità produttiva della nuova sostanza – Hydrogen Council stima di più di 200 volte rispetto a oggi.
Fonte: Lo studio, Hydrogen Council