Se lo schema dell’auto elettrica è concettualmente uno solo, per le ibride ne esiste invece una grande varietà. Questo perché sulle seconde sono presenti due motori che possono essere fatti interagire in molti modi, creando tutta una serie di sotto-generi.
Se dovessimo classificarle, la prima distinzione che verrebbe naturale fare sarebbe tra full hybrid e plug-in hybrid: in poche parole, le prime sono quelle che non hanno possibilità di caricare esternamente la batteria, e gestiscono l’energia “internamente” (come sulla Toyota Prius originale), affidandosi alla frenata rigenerativa e al motore termico, ma si riforniscono unicamente di carburante. Le seconde sono invece quelli con batteria ricaricabile alla spina.
Esiste però un altro modo di catalogare gli ibridi, anche se ancora poco usato, che prende spunto dal modo in cui i due tipi di motori (elettrico ed endotermico) sono messi in relazione. Parliamo di ibridi in parallelo e di ibridi in serie. Sono definizioni poco usate perché ad oggi praticamente tutti gli ibridi in vendita sono del primo tipo, ovvero in parallelo, anche se di qui a qualche anno anche l’altra soluzione promette di trovare applicazioni. Ecco in cosa di differiscono.

L'ibrido in parallelo
Come suggerisce il nome, un ibrido in parallelo è uno schema in cui i due motori lavorano parallelamente: più precisamente significa che entrambi possono dare trazione alle ruote motrici, insieme oppure alternandosi, dunque sono tutti e due collegati alla trasmissione anche se ciascuno dei due può essere escluso e rimanere spento in determinati casi. Gli ibridi attuali, “full” o plug-in che siano, adottano tutti questo schema.
L’ibrido in serie
Quello che si definisce ibrido in serie è invece uno schema in cui in realtà la trazione è assicurata esclusivamente dal motore elettrico, il quale è alimentato “a bordo” da un motore a combustione interna che genera energia elettrica. Ne abbiamo visto un esempio all'ultimo Salone di Tokyo sulla concept car Mitsubishi Mi-Tech, che sperimentava questa soluzione (utilizzando una turbina come motore-generatore) per una possibile applicazione su futuri modelli di serie.

La caratteristica principale dell’ibrido in serie è che la sua batteria non è ricaricabile da fonte esterna ma riceve energia unicamente tramite l’altro motore. Si tratta di una differenza fondamentale perché se il motore elettrico potesse essere alimentato, anche per poco, dalla sola batteria, ecco che improvvisamente non ci troveremmo più di fronte a un’ibrida ma ad una elettrica do tipo “range extender” ossia con di un generatore di bordo che ne aumenta, appunto, l’autonomia, come era la Bmw i3 REx.
Fotogallery: 2019 Mitsubishi Mi-Tech concept
La batteria serve
La differenza, come accennato, è sottile: un’ibrida in parallelo potrebbe infatti teoricamente anche fare a meno della batteria ed essere alimentata direttamente dal generatore azionato dal motore a scoppio. Solo in teoria perché all’atto pratico la batteria serve a “mediare” il flusso energetico proveniente dal generatore e quello richiesto dal propulsore.
Inoltre, se non ci fosse andrebbe sprecata l’energia recuperabile con la frenata rigenerativa, che sappiamo essere molto preziosa (sulle EV rappresenta in media circa il 30% della percorrenza che un veicolo può garantire tra una ricarica e l’altra su un percorso misto).
La sua presenza consente però al veicolo di avere una piccola riserva energetica che, sempre in teoria, può consentirgli di muoversi più o meno brevemente prima che l’altro motore si avvii. Il che rende ancora più sottile la differenza tra elettrica Rex e ibrida in serie, facendo diventare essenziale per distinguerle la presenza o meno della modalità ricarica “alla spina”.