Il ritorno dei Talebani a Kabul e il loro insediamento al potere, in questi giorni, è su tutti i giornali. Tralasciando le considerazioni politiche e sociali degli avvenimenti che stanno sconvolgendo l’Afghanistan, c'è da ricordare che uno dei Paesi più poveri al mondo è in realtà seduto su una vera e propria miniera d’oro.
O meglio, di litio, cobalto e altri metalli preziosi per la produzione di batterie e auto elettriche. Fa riflettere il fatto che, secondo un report pubblicato dall’US Congressional Research Service, nel 2020 il 90% della popolazione afghana viveva con meno di 2 dollari al giorno, cifra-limite stabilità dal governo locale per demarcare la soglia di povertà. Eppure il suo sottosuolo ospita un tesoretto che la CNN valuta in mille miliardi di dollari.
Risorse per mille miliardi
L’Afghanistan è un Paese dalle vaste risorse minerarie, e questo potrebbe giocare un ruolo strategico nel prossimo futuro nel caso in cui i talebani dovessero riuscire a mantenere in piedi il governo. Se in passato avevano finanziato le proprie organizzazioni costruendo un impero intorno all’oppio, oggi potrebbero puntare sull’estrazione di materie prime.
Litio, cobalto, nichel, oltre a ferro, rame e oro. La loro presenza venne rilevata per la prima volta circa mezzo secolo fa da alcuni ricercatori sovietici, che già intuirono il valore commerciale di tali risorse. Ma oggi diventano ancor più preziose, essendo necessarie alla realizzazione delle batterie.
La maledizione delle risorse
La mancanza di stabilità politica che il Paese attraversa da tempo ha restituito come risultato istituzioni fragili e incapaci di pianificare gli interventi economici: il governo si è mosso poco e male e anche l’attività del settore privato è stata ridotta a zero. L’immobilità si è ripercossa anche nel settore minerario, che è ancora praticamente inesistente.
Ed è così il Paese si è ritrovato presto nel bel mezzo di quella che gli esperti chiamano la “maledizione delle risorse”: un contesto politico in cui l’abbondanza di metalli e di ricchezze naturali non riesce a essere convertita in profitto. Questo avviene - non solo in Afghanistan - per problemi interni, ma anche per la presenza dell’industria occidentale (europea e statunitense) che utilizza la manodopera locale approfittando del basso costo della forza lavoro alimentando un circolo vizioso.
Difficile che le cose cambino
Detto delle risorse dell’Afghanistan, la domanda ora è la seguente. Con l’arrivo dei talebani al potere e i mutati equilibri politici, con le potenze straniere che lasciano il Paese per questioni di sicurezza (e non solo), chi potrebbe trarre vantaggio dalla situazione? I grandi produttori di batterie hanno già rapporti con Paesi "caldi", lavorando con società che operano in Bolivia, Repubblica Democratica del Congo, Australia o Cina. Che l’Afghanistan governata dai talebani possa diventare un’altra meta?
Alcuni sono scettici, e sostengono che il nuovo governo dovrebbe affrontare una serie di problemi a livello di regolamentazione del lavoro estrattivo e sviluppo tecnico non alla portata dei nuovi arrivati. Per esempio, Joseph Parkes, analista che si occupa di sicurezza presso l’azienda di intelligence Verisk Maplecroft, ha dichiarato: “I talebani hanno preso il potere ma la transizione da gruppo di insorti a forza di governo sarà tortuosa. Una governance funzionale dei processi estrattivi è lontana ancora di molti anni”.
Altri, come Mosin Khan (funzionario del FMI), credono che sia impossibile che qualcuno investa in Afghanistan ora che al governo c’è una forza così instabile e inaffidabile. Già prima nessuno si fidava a sostenere ingenti investimenti in un Paese in cui gli scenari sarebbero potuti cambiare repentinamente. Questa ipotesi verrebbe avvalorata ancora di più se gli Usa dovessero decidere di dichiarare come terrorista il gruppo di nuovi governanti di Kabul.
Attenti alla Cina
Non è detto però che proprio nessuno provi a sfruttare l’occasione creata dalla nuova situazione. La Cina, per esempio, già dichiaratasi “favorevole con cautela” al governo talebano, potrebbe agire in controtendenza per permettere alle sue imprese produttrici di batterie e di auto elettriche di accaparrarsi materie prime a basso costo.
Avviare rapporti con l'Afghanistan potrebbe anche portare benefici al settore della produzione dei chip, la cui carenza cronica sta affliggendo il mercato da quasi un'anno ormai. Non è detto che accada, come spiega Howard Klein, partner di RK Equity, che crede che Pechino non azzardi una collaborazione con i talebani.
In ogni caso, Rod Schoonover, scienziato ed esperto di sicurezza e di ecologia, avverte: avviare l’industria mineraria in Afghanistan può essere pericolosissimo. Lo studioso ha dichiarato che “quando l’attività estrattiva non è svolta con attenzione può essere ecologicamente devastante, e gli effetti negativi potrebbero essere subiti soprattutto da fasce di popolazione povere e senza voce”.