Montare più batterie significa anche estrarre più materie prime. Lo sappiamo bene, visto che è una delle ragioni usate dai detrattori per additare l’auto elettrica come responsabile di danni ambientali, in alcuni casi persino importanti. E questo nonostante corra senza alcuna emissione di CO2.

Ma le accuse sono fondate? Se da una parte è vero che riportare alla luce i minerali ha tradito per decenni le promesse di dare prosperità alle comunità vicine alle attività, dall’altra c’è chi coglie l’opportunità della transizione per provare finalmente a cambiare le cose.

L’impegno delle Case

Sono diversi i costruttori che si stanno impegnando per estrazioni più giuste, rispettose dei diritti dei minatori e dove il lavoro minorile non è di casa. BMW, Ford, General Motors, Mercedes, Tesla e Volkswagen, per esempio, hanno aderito all’iniziativa Irma (Initiative for Responsible Mining Assurance).

Il progetto chiede ai fornitori dei membri di rispettare specifici standard ambientali e sociali riconosciuti a livello internazionale, con l’obiettivo di garantire che gli scavi di cobalto, litio, nichel (e non solo) avvengano in modo corretto.

Galaxy Mining Lithium and Spodumene drilling holes for explosives in Ravensthorpe Western Australia

Sono attualmente 11 i siti sotto revisione, sparsi tra Africa, America Centrale e America del Sud, ma il Financial Times fa sapere che altri 73, di proprietà di 50 società minerarie, si stanno già preparando all’esame.

Un sistema trasparente, che consente a chi è interessato di studiarlo, metterlo in pratica e presentare proposte per migliorarlo. Standard più severi si traducono poi in materiali migliori e duraturi, che a loro volta danno un valore di mercato maggiore ai prodotti, anche in vista del successivo riciclo.

In questo modo, Irma spera di contribuire a un futuro in cui auto elettriche, turbine eoliche, pannelli fotovoltaici e dispositivi elettronici come computer, tablet e smartphone, siano più rispettosi non solo dell’ambiente, ma anche delle persone.

Anche la blockchain

Ma le iniziative non finiscono qui. Un’altra è la “Responsible Lithium Partnership”, alla quale si sono unite BASF, BMW, Mercedes, Daimler Truck, Fairphone e il Gruppo Volkswagen. Faro di questo gruppo eterogeneo è capire insieme alle comunità locali come gestire al meglio le risorse naturali della salina di Salar de Atacama, in Cile.

Ha una durata di tre anni e non promuove l’approvvigionamento di litio o l’acquisto e la vendita di materie prime. E ancora, ci sono i progetti che si basano sulle piattaforme blockchain, come Re|Source, per certificare ogni passaggio che fanno i minerali lungo la catena delle forniture.

Palla agli Stati

C’è però una considerazione da fare. Per quanto importante, l’impegno delle aziende e delle Case rimane sempre volontario e non può sostituire il ruolo dei Governi internazionali. È da loro che dovrebbe arrivare una vera scossa, fissando le regole del gioco, possibilmente senza ritardi.

Per ora, si possono segnalare le mosse del Congo, principale produttore al mondo di cobalto, che ha dato il monopolio alla società Entreprise generale du cobalt (Egc) per le estrazioni a mano, così da avere più controllo.