Ambiente e sviluppo. Troppo spesso negli anni abbiamo assistito a una (capziosa?) contrapposizione di questi mondi, parimenti degni della massima e incondizionata attenzione. Anche in queste ore, dopo il semaforo verde del Consiglio Ambiente Ue alla roadmap per azzerare le emissioni CO2 delle auto entro il 2035.
Visto da vicino, pure il presunto dualismo tra auto elettrica e occupazione mostra qualche stortura, evidenziando se ce ne fosse ancora bisogno l’urgenza di accompagnare adeguatamente l’industria attraverso una transizione complicata, ma ineluttabile. Direste mai che già oggi - in un periodo tutt’altro che florido - ci sarebbero migliaia di caselle vuote nella filiera eMobility italiana difficili da riempire per la mancanza di competenze? Un delitto se si pensa al quasi 24% di disoccupazione giovanile.
Una nuova eccellenza italiana
Ma andiamo con ordine. La riflessione prende le mosse da una chiacchierata che ho potuto fare con Francesco Mennucci, Global E-mobility Division Operations & Service Manager di ABB, e Stefano Chieregato, Plant Manager del Centro di Eccellenza ABB E-mobility di San Giovanni Valdarno, in occasione di una visita in questo nuovissimo stabilimento toscano. Una struttura all’avanguardia e per certi versi unica, in grado di produrre colonnine di ricarica ultrafast al ritmo di 1 ogni 20 minuti (a meno di due anni dalla posa della prima pietra).
Subito ho stuzzicato i due manager sul tema occupazionale: transizione e sviluppo quindi possono andare d’accordo anche in Italia? “Sicuramente per quello che vediamo noi sì”, osserva Mennucci, “le evoluzioni tecnologiche creano importanti cambiamenti nella società che vanno gestiti con la massima responsabilità, ma possono al tempo stesso creare grandissime nuove opportunità”.
“Noi cerchiamo maestranze qualificate, di primissimo livello”, aggiunge il manager, “e stiamo lavorando molto sul territorio per formare le generazioni in grado di progettare i charger del futuro o di contribuire nella linea produttiva”.
L’urgenza delle competenze
Ed è qui che fa capolino il tema delle competenze. “Si tratta di un argomento estremamente importante”, chiarisce Mennucci, “solo per dare qualche riferimento, ad aprile scorso in questo stabilimento avevamo circa 250 persone, oggi siamo a 550, e per riuscirci abbiamo dovuto puntare molto sulla collaborazione con gli istituti tecnici locali e le Università”.
Un “passaggio fondamentale”, insiste, “a dimostrazione dell’importanza di accompagnare la transizione investendo sui giovani che devono portarla a compimento. Altrimenti il rischio è rimanere indietro e non essere attori importanti di questa trasformazione epocale”. Che in sostanza, vorrebbe dire veder nascere altrove stabilimenti e centri d’eccellenza legati alla mobilità elettrica e più in generale alla transizione. Alla faccia dei rischi occupazionali.
Perché se un tempo le delocalizzazioni avvenivano solo in funzione della massima economicità, in un passaggio delicato come quello attuale sono tornate al centro le competenze. E per un Paese come il nostro sarebbe folle non approfittarne, lasciandosi frenare da battaglie di retroguardia fuori tempo massimo.
La colonnina (toscana) del 2030
Ma tornando al “prodotto”, cosa possiamo aspettarci di veder creare qui a San Giovanni Valdarno il prossimo decennio? “Guardando alla situazione di 10 anni fa effettivamente era difficile immaginare risultati come quelli raggiunti con le nostre HPC Terra 360”, nota Mennucci, “non è facile quindi fare previsioni, ma sicuramente alcuni trend tecnologici non cambieranno, come la capacità di aumentare la densità di potenza dei charger, che saranno sempre più piccoli. L’altro trend è ovviamente quello della digitalizzazione, che pervade ogni aspetto delle nostre attività”.
E alla luce dei progressi del passato, allungare lo sguardo al futuro consente slanci un tempo confinati alla fantascienza. “Un altro grande trend sarà quello dell’automazione”, prevede il manager, “con l’ecosistema del veicolo-ricarica che si autogestisce. Ci aspettiamo di vedere città dove i mezzi potranno ricaricarsi in autonomia e rendersi disponibili dove e quando serve”.
L’utente al centro
Nel frattempo, però, bisogna rendere la ricarica più agevole oggi. E non è solo una questione di numeri di colonnine sul territorio. “Si tratta di un’attività che rappresenta uno dei focus principali del reparto R&S di San Giovanni Valdarno”, spiega il numero uno dello stabilimento, Stefano Chieregato, “effettuiamo ogni giorno nuove sperimentazioni e tutte le funzioni dell’impianto approcciano i prodotti verificandone da subito la user experience. Dalla facilità di sostenere e inserire il cavo all’interfaccia grafica”.
Un’attenzione ai dettagli che per Chieregato è resa plasticamente dalle soluzioni adottate sulla Terra 360, in cui si puntato molto anche “sulla comunicazione visuale, utilizzando i led per mandare messaggi estremamente intuitivi a chi effettua la ricarica, attraverso colori e bande”.
Non solo auto
Ma a San Giovanni Valdarno non si producono solo infrastrutture per caricare le auto elettriche, ci sono anche quelle per gli autobus elettrici. Con un paradosso: pensate e realizzate in Italia, poi finiscono praticamente tutte all’estero. Anche se qualcosa in questo senso sembra essersi iniziato a muovere anche da noi. “In quest’ambito abbiamo tanti progetti in fucina”, anticipa Mennucci, “di certo quello che abbiamo realizzato a Milano con ATM rappresenta per noi un biglietto da visita molto importante”.
Nel capoluogo lombardo, infatti, ABB ha completamente elettrificato il deposito di San Donato creando un caso di studio per tante altre le città italiane. “Ci sono molte municipalità che hanno visitato il sito e con cui stiamo valutando collaborazioni”, rileva Chieregato, “in un progetto simile ci sono diverse complessità. Non c’è solo la ricarica, ma anche tutto quello che riguarda la gestione della potenza, ed è qui che la nostra esperienza ci aiuta a concepire da subito il progetto nel suo complesso”.