Quando si viaggia in elettrico, soprattutto i primi tempi, si tende a tenere sempre un occhio sulla percentuale di carica della batteria. Non necessariamente per timore di restare a piedi, ma per avere la percezione sull’efficienza del powertrain e per una conseguente migliore gestione delle ricariche. Non è detto, però, che i dati riportati dal trip computer siano così precisi. Anzi.
Ecco allora che il sensore quantistico diamantato messo a punto dai ricercatori del Tokyo Institute of Technology e da quelli della Yazaki Corporation nell’ambito del progetto Mext Q-Leap può cambiare sensibilmente il modo in cui si viaggia a zero emissioni.
Vantaggi a catena
Il sensore in questione, che per ora è allo stadio di prototipo, è in grado di misurare lo stato di carica e monitorare il funzionamento della batteria con un’accuratezza dieci volte superiore rispetto ai metodi utilizzati attualmente.
Nello specifico, i sensori attualmente in commercio, che stimano la carica della batteria attraverso la misurazione della corrente in uscita, possono essere ingannati dalle piccole variazioni della corrente stessa (nell’ordine dei milliampere). Così, per via di questi disturbi, sono considerati attendibili con un'approssimazione media del 10%. Il nuovo sensore messo a punto dai ricercatori giapponesi si ferma all’1%.
La professoressa Mutsuko Hatano, a capo del gruppo di scienziati nipponici, ha spiegato: “Aumentare l’efficienza di utilizzo della batteria del 10% grazie alla maggiore accuratezza sulla misurazione della carica consentirebbe di ridurre il peso della batteria del 10%, abbassando del 3,5% i consumi di energia e del 5% la produzione di energia necessaria alla ricarica delle decine di milioni di nuove auto elettriche che saranno messe in commercio nei prossimi anni”.
Come funziona
“Abbiamo sviluppato un sensore diamantato con un’elevata sensibilità alle variazioni di corrente che è in grado di misurare correttamente la carica di una batteria anche in un ambiente 'rumoroso', cioè pieno di interferenze”, ha aggiunto la Hatano.
Ma come funziona? I ricercatori hanno utilizzato due sensori, piazzandone uno nel punto in cui la corrente è in entrata della batteria e uno nel punto in cui è in uscita. I sensori utilizzano una tecnica chiamata di “rilevamento differenziale” che consente di ripulire il segnale da ogni elemento di disturbo e separarne solo la parte significativa. Successivamente, il team ha trovato il modo di tracciare le frequenze di risonanza magnetica dei sensori (su bande da 1 gigahertz di ampiezza) con due due generatori di microonde. Hanno utilizzato un sistema di controllo che si avvale di tecnologie sia digitali sia analogiche e che consente una misurazione molto accurata dei dati provenienti dai sensori stessi.

La prova del WLTP
Il metodo si è rivelato estremamente affidabile su un ampio range di corrente e a temperature d’esercizio comprese tra i -40 e gli 85 gradi centigradi. Inoltre, per dimensioni e metodo di funzionamento, può trovare numerose applicazioni. Tra queste, chiaramente, anche nel campo dell'auto elettrica e del settore dei trasporti in generale.
Interessante, poi, che una volta messo a punto il processo di misurazione, per testarne l’effettiva affidabilità, il team di ricercatori abbia riprodotto le stesse prove che si utilizzano per effettuare le omologazioni WLTP. È stato proprio in questa fase di comparazione che si è potuto dimostrare una forbice dell’1% tra il dato rilevato e l’effettiva carica della batteria.
Insomma, dopo tutto questo parlare, il concetto che resta è: se in futuro sapremo con maggiore precisione quanta energia è ancora presente nella nostra batteria e quanta autonomia resta, potremmo effettivamente perfezionare i modi e i tempi di ricarica, preservando da un lato la vita dell'accumulatore e ottimizzando le prestazioni con la vantaggiosa conseguenza, come detto dalla professoressa Hatano, che le auto elettriche del futuro potranno anche montare batterie più piccole.