È cominciata una nuova era per Enel, colosso dell’energia che punta a decarbonizzare tutti i suoi prodotti entro il 2040, con 10 anni di anticipo rispetto all’obiettivo mondiale del “Net zero”.

Nel lungo processo di transizione verso un futuro dove non mancheranno sicuramente delle sorprese, una certezza c’è già: “Enel rimarrà un’azienda elettrica – assicura il ceo Francesco Starace a Repubblica –, ma l’elettricità ci sta portando in mondi finora sconosciuti, dove ci sono grandi opportunità per i nostri clienti e per noi”. L'esempio più lampante? La eMobility.

Le possibilità dell’auto elettrica

“Prima di tutto proprio la mobilità: siamo partiti quattro anni fa – racconta il ceo – con l’idea di mettere un’infrastruttura di ricarica pubblica in Italia e adesso a livello globale siamo a poco meno di 20 mila punti di ricarica pubblica e con quelli privati arriviamo a 150 mila. Ma questi punti nel 2030 arriveranno a quattro milioni”.

Secondo Starace, “si apre un mondo di servizi a chi ha un’auto elettrica, di possibilità di nuovi business: ad esempio quello di mettere la batteria dell’auto, quando non è utilizzata, a disposizione della rete elettrica, che ha sempre più bisogno proprio di batterie per essere bilanciata”. Come? Attraverso il vehicle to grid, tecnologia centrale per le smart grid del futuro.

Sulla mobilità, il ceo ricorda che Enel lancerà un apposito spin-off, cioè “una società dedicata proprio a questo grande mondo nuovo che vedrà la luce nei prossimi mesi per essere poi messa sul mercato a livello mondiale”. La “nuova realtà nata dalla scissione di Enel X” sarà guidata da Elisabetta Ripa, già numero uno di Open Fiber, e verrà quotata in Borsa.

Enel X Corso Francia Chargin Station
Stazione di ricarica Enel X a Corso Francia (Roma)

Transizione come investimento

Tra i focus su colonnine e auto elettriche, Starace fa diverse riflessioni di più ampio respiro, replicando a chi guarda con sospetto alla rivoluzione verde. “Quando sento parlare di costi della transizione – osserva – penso che ci sia una certa confusione semantica: attuarla è conveniente e quello che si affronta oggi non è un costo, ma un investimento sul futuro”.

“Nel 2019 – spiega – abbiamo fatto uno studio con Ambrosetti che mostra come in Italia la transizione vale fino a 23 miliardi di euro, con un numero netto di posti di lavoro creati che va da 100 a 170 mila. Poi è chiaro che, come accade per ogni svolta tecnologica, c’è chi si adatta prima e chi invece non riesce o non vuole adattarsi e rischia di scomparire”.

Il nucleare? Almeno nel 2035

Tra i temi affrontati nell'intervista anche quello del nucleare, tornato improvvisamente caldo nel nostro Paese, e sul quale si sta per pronunciare l’Unione europea: “Noi abbiamo parlato poco di nucleare, ma siamo tra i pochi in Italia con esperienza diretta nel campo”, dice prima di ricordare che Enel ha in Spagna “sei centrali nucleari di seconda generazione avanzata” e in Slovacchia è azionista “di Slovenske Elektrarne”, che ha iniziato a costruirne 2 nel 2008, con tempi e costi praticamente raddoppiati. "Ed è un caso virtuoso alla luce di altre esperienze in Europa".

La morale? “Che chi ha le centrali nucleari, come la Francia, le gestisca bene e le faccia andare finché ce le ha. Per chi invece non le ha, non ha senso costruirne di nuove con la tecnologia esistente. Per il nucleare di nuova generazione, su cui è bene lavorare studiando le tecnologie più promettenti, si parla di tempi tra il 2035 e il 2040”.